Breve guida (per avventori nevrotici) alla sopravvivenza nei ristoranti

Annalena Benini

Prenotare con anticipo e sollecitudine e finire sempre relegati in un tavolo d’angolo, rivolto verso il muro, vicino ai bagni. Chiedere timidamente se non si potrebbe avere invece quel bel tavolo arioso e vuoto là in fondo e sentirsi rispondere che no, putroppo è prenotato (ma in tutta la sera non arriverà nessuno, solo a un certo punto ci si siederanno certi amici tatuati del proprietario del ristorante, giusto per bere una cosa e ridere forte, senz’altro di noi, relegati nella zona: perdenti). Quali sono le pessime cose (oltre al pessimo cibo, a volte) che accadono nei ristoranti, i comportamenti che fanno passare la fame, la voglia di vivere, di uscire di casa e di lasciare la mancia?

    Prenotare con anticipo e sollecitudine e finire sempre relegati in un tavolo d’angolo, rivolto verso il muro, vicino ai bagni. Chiedere timidamente se non si potrebbe avere invece quel bel tavolo arioso e vuoto là in fondo e sentirsi rispondere che no, putroppo è prenotato (ma in tutta la sera non arriverà nessuno, solo a un certo punto ci si siederanno certi amici tatuati del proprietario del ristorante, giusto per bere una cosa e ridere forte, senz’altro di noi, relegati nella zona: perdenti). Quali sono le pessime cose (oltre al pessimo cibo, a volte) che accadono nei ristoranti, i comportamenti che fanno passare la fame, la voglia di vivere, di uscire di casa e di lasciare la mancia? Andare a cena fuori è un piccolo lusso emozionante, scrive la critica di ristoranti del Guardian, Marina O’Loughlin, “non c’è praticamente nulla che mi piaccia di più che sedermi attorno a un tavolo di ristorante con persone che mi piacciono”, ma non è sempre una gioia, soprattutto se si è un po’ nevrotici (quasi tutti lo sono) e facilmente irritabili: c’è una serie di comportamenti guastafeste dei ristoratori, dei camerieri, degli chef, perfino dei siti internet dei ristoranti che fanno maledire il momento in cui si ha abbandonato l’idea di una minestrina di dado a casa, con la televisione accesa e nessuno che arriva, rifila una pacca sulla spalla e dice: “Hey ciao, come va?”, strizzando l’occhio prima di lasciare il menu sul tavolo.

    Secondo Marina O’Loughlin, molto temuta perché riesce a mantenere l’anonimato da cliente qualunque, i camerieri che si comportano come i nostri migliori amici provocano un immediato senso di soffocamento e desiderio di fuga, anche perché, se quella è, mettiamo, la seconda volta che andiamo in quel ristorante, i camerieri espansivi sono molto pericolosi: potrebbero fare davanti a tutti battute sul nostro accompagnatore della volta precedente (proprio quando avevamo raccontato di dovere lavorare fino a tardi). Per contrasto, vorrei aggiungere il senso di umiliazione che invece provoca in me il proprietario della trattoria in cui vado tutte le settimane da dodici anni almeno, e che ogni volta mi porta il menù turistico in inglese. Ma dicevamo, il sito internet: si digita il nome del ristorante, si scopre che ha un sito, ci si aspetta di trovare l’indirizzo, il numero di telefono, il giorno di chiusura e magari una foto del posto e perfino il menu. Invece c’è la musica, una rotella che gira perché deve caricare pesantissimi video animati che raccontano la filosofia dello chef e l’importanza del chilometro zero, molte foto di verdure e di prosciutti danzanti.

    Niente indirizzo, forse la filosofia dello chef teorizza anche che, se non si sa già da prima dove si trova il ristorante, non si è degni di andarci a cena. Ma la condizione più imbarazzante, la privazione di libertà più grave dentro un ristorante in cui si va per svagarsi, non per sentirsi in prigione, riguarda il vino: in molti posti la bottiglia di vino scelto, ordinato e entro breve pagato, viene tolta dal tavolo e posizionata in un luogo lontano, gestibile soltanto dal cameriere (o sommelier), che ha il compito quindi di tenere d’occhio i nostri bicchieri per correre, quando è necessario, a versarne ancora. Significa che il controllo sull’assunzione di alcol è completamente perduto, preso in mano con autoritarismo da un estraneo, che ha naturalmente molte altre cose da fare. Quindi lo smarrimento provocato dal trovarsi con un bicchiere vuoto è paragonabile al fastidio e al senso quasi di accattonaggio per avere richiamato l’attenzione del cameriere affinché arrivi il più in fretta possibile con quella maledetta bottiglia. E se lo chef esce dalla cucina, arriva al tavolo sorridente e con cappello da cuoco in testa e pretende complimenti e dichiarazioni sulla genialità del timballo, ristoranti, io vi odio.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.