Coalition of the unwilling
Il fronte politico contro il presidente Bashar el Assad si sta sgonfiando come un soufflé, non altrettanto quello militare: ieri un quinto incrociatore americano con missili Tomahawk s’è aggiunto agli altri posizionati davanti alla costa della Siria.
I cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si sono riuniti di nuovo ieri pomeriggio al Palazzo di vetro, su richiesta dei russi. Due giorni fa un primo meeting per discutere una risoluzione che autorizzasse l’intervento armato contro il governo e l’esercito siriani era finito in un nulla di fatto, come largamente previsto, con gli ambasciatori russo e cinese che hanno semplicemente abbandonato i loro posti e sono usciti dalla porta.
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Il fronte politico contro il presidente Bashar el Assad si sta sgonfiando come un soufflé, non altrettanto quello militare: ieri un quinto incrociatore americano con missili Tomahawk s’è aggiunto agli altri posizionati davanti alla costa della Siria.
I cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si sono riuniti di nuovo ieri pomeriggio al Palazzo di vetro, su richiesta dei russi. Due giorni fa un primo meeting per discutere una risoluzione che autorizzasse l’intervento armato contro il governo e l’esercito siriani era finito in un nulla di fatto, come largamente previsto, con gli ambasciatori russo e cinese che hanno semplicemente abbandonato i loro posti e sono usciti dalla porta. E’ evidente che ieri s’è aggiunto qualche altro elemento, di cui valeva la pena parlare: al momento in cui questo giornale andava in stampa la riunione non era ancora finita, ma fonti diplomatiche parlano di un accordo preventivo sullo strike internazionale, che dovrebbe essere abbastanza duro da ottenere due risultati: il primo è salvare la faccia del presidente americano Barack Obama, che rischia la sua credibilità da quando nell’agosto 2012 ha parlato di uso delle armi chimiche come di una “linea rossa” da non varcare; il secondo è ammorbidire la posizione del presidente siriano Bashar el Assad, per farlo sedere al tavolo di Ginevra due. La conferenza di pace di Ginevra due in teoria è la sede dei prossimi negoziati diretti tra governo e ribelli siriani ed era prevista a giugno, ma in pratica è slittata verso il nulla e nessuno ne parlava più, se non come dell’ennesima speranza bruciata.
A Londra il primo ministro David Cameron ha difeso in Parlamento la decisione del governo di annunciare la partecipazione alla coalizione con Washington, spiegando che lanciare lo strike contro la Siria è legale dal punto di vista della dottrina degli interventi umanitari anche senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Cameron ha esposto la sua posizione anche con l’aiuto di documenti d’intelligence e legali e ha detto che il governo siriano ha già usato le armi chimiche in altri 14 attacchi minori prima di quello di mercoledì scorso. Il rapporto del Joint Intelligence Committee dice che è “highly likely” che la strage sia opera del governo siriano. Il leader del partito Labour, Ed Miliband, si oppone però alla mozione di Cameron, sostenendo che prima è necessario aspettare i risultati delle ispezioni Onu sul campo: gli ispettori lasceranno la Siria soltanto sabato, allo scadere del loro mandato. Il Labour è paralizzato dal ricordo dell’Iraq, che avvelena, come ha detto Cameron, anche questa vicenda – e però fu un’invasione di terra, contro un governo che non era impegnato in una brutale repressione militare anche con armi chimiche sotto gli occhi del mondo. Miliband è stato accusato dai Tories di essere corso in aiuto di Assad – oggettivamente ha inceppato il meccanismo militare – e una fonte di Downing Street lo ha definito: “A fucking cunt and a copper-bottomed shit”, due insulti intraducibili in italiano e forse è meglio così. Al voto, che è stato questa notte, Cameron e il leader dei Lib-Dem Nick Clegg disponevano sulla carta di una maggioranza di 77 voti, ma 70 dei loro parlamentari sono “non convinti” – secondo il Guardian – e 30 di questi si sono detti “scettici”, anche se comunque voteranno perché “è una mozione debole, ci dovrà essere un altro voto prima dell’attacco”. Il dipartimento di stato americano risponde così all’impasse di Londra: “Non abbiamo necessariamente bisogno di agire sulla base della stessa dottrina legale seguita dai nostri alleati”. Come a dire: non vi aspetteremo.
Navi da guerra russe
Il presidente francese François Hollande ha detto ieri che l’unica soluzione è politica e che aspetta i risultati dell’inchiesta Onu, una posizione meno forte dei giorni precedenti, in cui aveva calzato senza esitazioni l’elmetto dell’interventista. Come pure il cancelliere tedesco, Angela Merkel, che ieri ha ricevuto le telefonate sia di Vladimir Putin sia del presidente Obama. Merkel ha detto che la strage chimica in Siria “non può restare impunita”, ma deve fare i conti con le elezioni imminenti e con sondaggi ultra-contrari a un intervento militare. L’Egitto che da poco è passato sotto il potere dei generali, dopo il golpe del 3 luglio contro i Fratelli musulmani, è schierato a fianco di Assad. Anche il movimento Tamarrod, che ha innescato le proteste gigantesche contro l’ex presidente Mohammed Morsi, è con Assad. Ieri le agenzie russe hanno scritto che due navi da guerra di Mosca stanno per arrivare nel settore previsto per le operazioni, il Mediterraneo orientale. E’ probabile che seguiranno da vicino gli spostamenti delle unità americane e che comunicheranno la loro posizione al governo siriano.
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