Il buono e il cattivo
L'incoscienza di Kone e l'incertezza di Perin nella domenica da record in serie A
L'incoscienza è necessaria, in certe situazioni. Kone ha sempre saputo come adoperarla, fin da ragazzino. Perché non è facile nascere albanese e ritrovarsi greco, farsi chiamare Gjergj per i primi due anni e poi diventare Panagiotis per il resto della vita, quando i tuoi genitori attraversano il confine alla ricerca del benessere e devono far dimenticare in fretta le proprie origini. Kone ha rimediato all'errore del compagno Curci, altrettanto non hanno saputo fare il Sassuolo a fronte delle incertezze di Rosati oppure il Genoa alle prese con le amnesie di Perin.
L'incoscienza è necessaria, in certe situazioni. Kone ha sempre saputo come adoperarla, fin da ragazzino. Perché non è facile nascere albanese e ritrovarsi greco, farsi chiamare Gjergj per i primi due anni e poi diventare Panagiotis per il resto della vita, quando i tuoi genitori attraversano il confine alla ricerca del benessere e devono far dimenticare in fretta le proprie origini. Due comunità da sempre ostili, due culture che il centrocampista si tiene comunque dentro ("Sono greco ma rispetto l'Albania"). Un'irrequietezza divenuta il segno distintivo di una carriera intera, rischiando di passare per testa calda quando si è invece solamente alla ricerca di una propria dimensione. La Francia conosciuta a soli 17 anni a Lens e subito abbandonata per nostalgia, i rapporti mai semplici con compagni e critica al ritorno in Grecia, l'Italia incontrata con un viaggio in auto fino a Brescia armato solo di gps. Anche da noi le cose non sono mai state semplici. Proprio a Brescia, con i soliti ultras pronti a contestarlo quando prendeva decisioni ritenute non consone (da loro) ai destini della squadra. E pure a Bologna, dove il destino è stato sempre traballante fino a quando Kone non decide di inventarsi i gol della svolta nel giro di tre giorni a dicembre a Napoli, poco prima di un'eventuale cessione invernale. Il secondo è quello decisivo, perché significa un passo avanti in Coppa Italia, ma il primo è il più bello, perché intessuto – per l'appunto – di incoscienza: Garics che scende sulla fascia destra e crossa per una sforbiciata da urlo del greco in area. Una combinazione non si sa se e quanto voluta dai due, ma sicuramente efficace. Come si è visto anche domenica sera contro la Sampdoria. Perché in una giornata da 43 reti è necessario qualcosa di speciale per emergere, e Kone replica: ancora in semirovesciata, ancora su invito di Garics. Un gesto di rara bellezza, con cui le Figurine Panini dovrebbero sostituire sulle bustine l'ormai datata acrobazia di Carletto Parola, almeno in Grecia. Il marchio di un irregolare, in una squadra che presenta già di suo la sana follia di Diamanti e il look hipster di Moscardelli. Un marchio che Kone rivendica nella consueta ragnatela di tatuaggi che ogni giocatore degno di questo nome ritiene doveroso esporre. Dove, tra improbabili donne con la bocca cucita e un teschio con un ciuffo alla Presley, spicca sulla schiena la parola Libertad.
E quando si vedono 43 gol, oltre a chi segna c'è anche chi subisce. In modo inevitabile oppure in maniera goffa. Kone ha rimediato all'errore del compagno Curci, altrettanto non hanno saputo fare il Sassuolo a fronte delle incertezze di Rosati oppure il Genoa alle prese con le amnesie di Perin. La maldestra opposizione al lampo di Giuseppe Rossi contro la Fiorentina è stata la rappresentazione plastica del momento rossoblù: una squadra sempre in costruzione e mai in definizione, alle prese con una precarietà gestionale e di mercato che non può lasciare tranquilli. Come tranquillo non può essere Mattia Perin, che per tutta l'estate si è visto scorrere sotto il naso le indiscrezioni di chi indicava portieri per la casa genoana, orfana del troppo costoso Frey: da Viviano a Sorrentino, da Bizzarri a improbabili soluzioni estere. Si è visto di tutto, anche troppo per uno che – a vent'anni – viene considerato un interprete promettente del ruolo. Ma per farlo occorrono situazioni di serenità, in cui crescere ed essere guidati. Quelle che Perin non ha avuto al primo anno vero di serie A a Pescara, in cui ha vissuto tutti i possibili incubi di un portiere: la squadra più perforata del torneo e la concorrenza interna del cosiddetto "esperto". Pelizzoli, nel suo caso. Incubi che si ripetono ora in chiave rossoblù, perché le indiscrezioni non possono regalare certezze e formazioni con poca logica possono solamente offrire serate da dimenticare in fretta, come quella contro la Fiorentina. Uno può rivendicare buone cose, ma negli occhi resta la palla che, beffarda, scavalca la schiena dopo un tuffo comico. Portieri traballanti, squadre in eterna costruzione (e pronte a essere rifatte a gennaio), tecnici già in discussione: a Palermo ci possono passati la scorsa stagione, a Genova evidentemente non se ne sono accorti.
Il Foglio sportivo - in corpore sano