I due burocrati

L'interventismo liberal è rimasto nelle mani tremolanti di Hollande e Kerry

Paola Peduzzi

Ora che Barack Obama ha deciso di chiedere l’appoggio del Congresso per un’azione in Siria, non gli resta che ottenerlo, quell’appoggio, perché se arriva un no, uno sgarbo plateale, il presidente americano è destinato a non riprendersi più. Ecco che la Casa Bianca ha iniziato un “massive, member-by-member lobbying surge”, come lo definisce Mike Allen di Politico, briefing su briefing, tutti devono sapere che le operazioni siriane s’hanno da fare, non certo e non più per salvare vite umane, quanto piuttosto per salvare la legacy obamiana.

Leggi anche Test missilistico nel Mediterraneo orientale - Raineri Obama chiede i superpoteri - O’Bagy Sul fronte della guerra siriana

    Ora che Barack Obama ha deciso di chiedere l’appoggio del Congresso per un’azione in Siria, non gli resta che ottenerlo, quell’appoggio, perché se arriva un no, uno sgarbo plateale, il presidente americano è destinato a non riprendersi più. Ecco che la Casa Bianca ha iniziato un “massive, member-by-member lobbying surge”, come lo definisce Mike Allen di Politico, briefing su briefing, tutti devono sapere che le operazioni siriane s’hanno da fare, non certo e non più per salvare vite umane, quanto piuttosto per salvare la legacy obamiana.
    Da domenica le stanze del Congresso si sono riempite di nuovo, pure se i lavori ufficialmente riprendono il 9 settembre: deputati e senatori in abiti casual (ma il casual ormai ha un’unica forma e un unico colore: la t-shirt rosa del capo del Pentagono, Chuck Hagel, mentre ascolta attonito Obama che annuncia ai suoi che si andrà al voto al Congresso) si sono presentati ai meeting organizzati dal team della Casa Bianca, per capire che cosa prevede la mozione da votare – e quanto e cosa Obama è disposto a dare in cambio di un voto positivo. Il presidente s’è attaccato al telefono, deputato democratico per deputato democratico, e ieri ha incontrato il suo ex sfidante del 2008, il senatore repubblicano John McCain, interventista della prima ora, che ha il compito di compattare i repubblicani sul fronte dello strike.

    Fino a questa sera il presidente farà pressioni personalmente, poi deve partire per la Svezia e poi per il G20 a San Pietroburgo, dove l’aspetta l’uomo meno malleabile del globo, il presidente russo Vladimir Putin che guida il fronte del no internazionale a un intervento in Siria. Si potrebbe pensare che questi sono i giorni facili per Obama, ma non è così: “Questo potrebbe essere il calcolo più sbagliato di tutta la sua presidenza”, dice un democratico del Congresso a Politico, facendo intendere che mai occasione tanto ghiotta è capitata ai congressmen, spesso maltrattati dal presidente, come sottolineava con toni poco rassicuranti il New York Times. I democratici sono divisi, c’è chi non può accettare la guerra a nessun costo, nemmeno se è in ballo la sopravvivenza del suo presidente, ma anche i repubblicani interventisti si trovano in difficoltà: si può davvero buttare via l’occasione d’oro per umiliare Obama in nome della fedeltà alla linea? Per ora prevale un grande scetticismo, la bozza della mozione è già in fase di riscrittura, mentre gli esperti mettono in fila tutti i possibili esiti di questa scommessa pericolosa, anche se alla domanda decisiva nessuno sa dare risposta: il presidente attaccherà lo stesso la Siria, se il Congresso dovesse votargli contro?

    Mentre Obama si occupa del blitz telefonico, nel resto del mondo si moltiplicano le fratture, al punto che i russi rifiutano le prove portate dagli americani sugli attacchi chimici del regime di Damasco – non sono sufficienti, dicono sbeffeggiando anche il capo della Nato, Anders Fogh Rasmussen, che le prove le ha viste e le ritiene convincenti, se non si risponde in modo netto “sarà un brutto segnale per tutti i dittatori” – e il rais Bashar el Assad si prende il lusso di chiedere all’Onu di fermare le operazioni americane e di mettere in guardia l’Eliseo da mosse azzardate parlando con l’inviato del francese Figaro. Non è un caso che sia il quotidiano antagonista dell’Eliseo a raccogliere le parole di Assad, perché nella litigiosa Europa sono rimasti soltanto i socialisti francesi, a denti stretti, a voler “frapper” il regime di Assad, hanno le prove, gli attacchi chimici sono partiti da zone controllate da Damasco, dicono le rilevazioni satellitari dei servizi, ma ora saranno forse costretti pure loro a passare per le vie parlamentari, come gli inglesi e come gli americani – e comunque sia, si deve aspettare: Parigi da sola non può nulla.

    Il presidente francese François Hollande si ritrova così addosso i panni improbabili di falco democratico, così come il segretario di stato americano John Kerry, che tre anni fa cenava con gli Assad in un ristorante di Damasco sorseggiando cocktail colorati e ora guida la compagine che infila un paio di valori di interventismo liberal in quella macchina pragmatica e cinica che è la politica estera di Obama. Parla di “oscenità morale”, Kerry, paragona Assad a Saddam Hussein, dando così un avallo postumo alla campagna irachena – ironia ultima e invero poco divertente dell’ultima giravolta del segretario di stato, che difende l’attacco immediato ma anche il coraggio di Obama di andare a chiedere il voto al Congresso. Il Washington Post dice che il ruolo di Kerry è cruciale, altri sogghignano feroci: sembra Colin Powell con le fialette, proprio lui che doveva stracciare George W. Bush alle elezioni del 2004 e finì travolto.
    C’è una smoking gun da almeno 1.400 morti per armi chimiche, ma ancora ci si contorce, si guarda male all’asse che si sta ricreando, come con l’Iraq, tra neocon e falchi liberal, e forse non può che andare così, se la dottrina dell’interventismo liberal è rimasta nelle mani tremanti di un burocrate socialista francese e di un burocrate democratico americano.

    Leggi anche Test missilistico nel Mediterraneo orientale - Raineri Obama chiede i superpoteri - O’Bagy Sul fronte della guerra siriana

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi