Non saremo “bigotti”? La rentrée grillina e l'illusione dell'autocoscienza

Marianna Rizzini

Neanche cadono le foglie – non ancora – e già la rentrée a Cinque stelle diventa balzo all’indietro nell’inverno turbolento e cavilloso che fu, con escalation tragicomica sulle questioni di metodo: eccoli, i senatori grillini, con la faccia sollevata del dopo vacanze già contratta in un cruccio da stress assembleare gravato per giunta dallo streaming che mai fortuna portò; eccoli intenti ad autoscomporsi in gruppi di sei col resto di uno: “Numeri uno di qua”, “numeri due di là”, “numeri tre nella stanza sette”, diceva ieri pomeriggio, con fare militaresco ma con benedizione assembleare, la senatrice Elisa Bulgarelli, per niente scoraggiata dalle facce perplesse dei colleghi di fronte all’incredibile trovata.

    Neanche cadono le foglie – non ancora – e già la rentrée a Cinque stelle diventa balzo all’indietro nell’inverno turbolento e cavilloso che fu, con escalation tragicomica sulle questioni di metodo: eccoli, i senatori grillini, con la faccia sollevata del dopo vacanze già contratta in un cruccio da stress assembleare gravato per giunta dallo streaming che mai fortuna portò; eccoli intenti ad autoscomporsi in gruppi di sei col resto di uno: “Numeri uno di qua”, “numeri due di là”, “numeri tre nella stanza sette”, diceva ieri pomeriggio, con fare militaresco ma con benedizione assembleare, la senatrice Elisa Bulgarelli, per niente scoraggiata dalle facce perplesse dei colleghi di fronte all’incredibile trovata: i numeri dispari “ricostruiscano la cronologia degli eventi” causa di dissidio interno, “i numeri pari scompongano il caos attuale in problemi affrontabili” ma senza “scomporre troppo sennò si perde la visione d’insieme”.

    Erano queste le funamboliche direttive, accompagnate da slancio organizzativo perfetto anche per una festa di bambini. “Quale pennarello vuoi?”, “i fogli, prendete i fogli”, era la premessa alla mezz’ora di pre-discussione sui fattacci da sottoporre poi al giudizio della plenaria: la delusione di alcuni per il capo in contumacia Beppe Grillo che propina il Porcellum amaro calice (andare al voto a tutti i costi, anche senza cambiare la legge) e la crepa presunta tra “aperturisti” e non su un fantomatico Letta bis, con sfondo di solito orrore grillino verso un Pd che sul blog dell’ex comico riguadagna gli insulti da campagna elettorale: riecco i democratici ingrassatori della “casta”, “ominidi”, “marci fino al midollo”, “insulsi” che parlano di “diritto alla difesa del Cav.” (Luciano Violante è la bestia nera dei commenti).
    Non pago di aver bastonato financo il parmigiano reggiano causa vicinanza all’inceneritore parmense, Grillo fa prove di (vero?) teatro, regolando audio e luci dei suoi interventi da lontano: un giorno fa la vittima (il doppio turno è una congiura contro i Cinque Stelle), un giorno attacca la salsiccia delle feste pd: “Niente scontrini, niente fisco”, è l’accusa, subito rigettata dal responsabile feste democratiche Lino Paganelli (“le feste non sono un’azienda”, “Grillo fa autogol sull’autofinanziamento”).

    Ma tocca a loro, ai senatori, ora, la ribalta da gruppo-spalla del leader che gioca a nascondino: ai senatori grillini reduci dalle angosciose ferie da sempre-collegati (su whatsApp andava infatti in scena, in agosto, lo psicodramma del dubbio e del sospetto, dopo che il “comunicatore” del gruppo in Senato, l’ortodosso Claudio Messora, aveva dato addosso a chi giocava “al piccolo onorevole” chiedendosi se il cedimento al Porcellum tanto odiato fosse cosa buona e giusta). Tocca ai senatori riposati – ma non rilassati, nonostante l’abito décontracté tipico di ogni ufficio ai primi di settembre – sobbarcarsi l’onere della ripresa, e ricomporsi in unicum dopo essersi scomposti in gruppetti, non prima di aver letto in pubblico, a turno, un cartellone riassuntivo scritto in stampatello. Tanti punti, tante“problematiche”: “che il grillismo diventi bigottismo”?, si chiede a un certo punto il più lucido dei sottogruppi; “che ci sia un eccesso di autoreferenzialità e aggressività”?; “Che sia ora di chiedersi davvero chi siamo e dove andiamo?”, sono le domande emerse dai sottoinsiemi senatoriali squassati da doppio dubbio amletico: chi decide la linea politica? quali sono i nostri obiettivi? E improvvisamente non è più così importante che il senatore Luis Alberto Orellana dia un colpo al Porcellum che Grillo vuol far digerire come male minore (non si può tornare a votare con quello, “è incostituzionale”, dice Orellana) smentendo al contempo la voce dei quindici senatori che vogliono allearsi con il Pd (“invenzione”, dice). Eccoli, i senatori, alle prese con il nuovo modello di cavillo da democrazia diretta, l’assemblea a geometrie variabili per parlare di tutto e di niente, illudendosi di ripartire dall’autocoscienza.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.