Fissati digitali

Stefano Pistolini

Geek santi subito, la rivincita è completata. Deflagra una marea inarrestabile, cresciuta negli anni 90, sulla quale naviga un modello sociale nato con la svolta tecnologica dei consumi e delle culture. Sono i “geek”, i nerd, i fissati con le invenzioni e le immaginifiche chance dell’universo digitale e la relativa proliferazione sottoculturale che ne è sgorgata – web, fumetti, tv, film, stili. Gates, Jobs, Brin, Zuckerberg e soci, per citare le popstar del gruppo. Cervelli che hanno cambiato il mondo, hanno riscritto le regole della comunicazione, dell’educazione e di altre cosette di questa portata. Per loro c’è stata prima decenza, poi dignità e oggi un’aura di divinità, rivestita d’una patina classica.

    Geek santi subito, la rivincita è completata. Deflagra una marea inarrestabile, cresciuta negli anni 90, sulla quale naviga un modello sociale nato con la svolta tecnologica dei consumi e delle culture. Sono i “geek”, i nerd, i fissati con le invenzioni e le immaginifiche chance dell’universo digitale e la relativa proliferazione sottoculturale che ne è sgorgata – web, fumetti, tv, film, stili. Gates, Jobs, Brin, Zuckerberg e soci, per citare le popstar del gruppo. Cervelli che hanno cambiato il mondo, hanno riscritto le regole della comunicazione, dell’educazione e di altre cosette di questa portata. Per loro c’è stata prima decenza, poi dignità e oggi un’aura di divinità, rivestita d’una patina classica. Si propongono come benigni maestri dell’universo, in una versione da età dell’acquario a dispetto di quanto siano complicate le cose in circolazione. Quando Ashton Kutcher è andato a presentare il film su Steve Jobs di cui è protagonista, per definire Jobs l’ha paragonato a Leonardo da Vinci.

    Il povero Steve e i colleghi di talento che adesso si godono i frutti del successo sono i prototipi dei geek, coloro che invece di giocare a pallone o frequentare i pub passavano le notti in garage a programmare e a trasformare idee apparentemente condannate alla teoria in pratiche accessibili a tutti. Il Guardian a firma di Andrew Harrison dedica un articolo a sancire la definitiva riabilitazione del geek e la sua collocazione in cima alla scala dei valori tribali dei nati dopo il 1965. L’idea è che siano loro i supereroi del contemporaneo, i Clark Kent capaci di sprigionare dai cervelli l’energia necessaria alla ridefinizione del presente. L’articolo offre a sostegno della tesi un’impressionante mole di documentazione: ecco cos’hanno fatto, cos’hanno cambiato, come si sono formati, chi li ha ispirati, quale mash up di pop, mainstream, rock, digital e spirito indipendente li abbia nutriti. Ma tanta propaganda lascia una coda di perplessità. E’ una celebrazione in favore di un gruppo cresciuto all’ombra di un terribile moloch: i baby boomer, quelli che hanno promesso rivoluzioni poi irrealizzate, che hanno detto la loro su tutto, che hanno sovvertito le regole sessuali, hanno inventato una musica più forte di ogni filosofia, che hanno imposto un’estetica e un’etica. I baby boomer che hanno dominato un’epoca, con tutto il disordine e la grandeur che li ha contraddistinti. Eppure il loro passaggio è stato solo vento, se paragonato con gli effetti reali provocati dai geek e dalle loro innovazioni. Ma forse gli eterni ragazzi in jeans, cardigan e occhialetti non hanno mai avuto un ufficio stampa buono a far sì che il loro mito crescesse con la velocità del loro influsso sulla modernità.

    Ora che qualcuno vuole conferire loro l’omaggio che meritano, c’è qualcosa di meccanico e innaturale nel procedimento. Troppo sconcertanti e fuggevoli sono le biografie dei grandi geek, per cristallizzare la loro magnificenza, al cospetto di coloro che invece – ignoranti, volgari e rumorosi – diventarono eroi del mondo nuovo di fine Novecento. Gente che diventava simbolo con un’inconscia naturalezza. I geek sono geni di laboratorio, gente al neon, maestri dell’understatement, come chi inventò la penicillina o scoprì i continenti. Siamo sicuri che trasformarli in emblemi di un’epoca sia il modo giusto di storicizzarli? Il divismo è un mestiere per gente di apparenze.