Portavoce di chi e di che? Sono i grillini la vera “variabile non prevista” da Grillo

Marianna Rizzini

Lo sapevano anche prima, i Cinque Stelle: o così o fuori. Hanno firmato carte, gli eletti, hanno visto in quel Grillo-Mangiafuoco sul palco l’arma della catarsi-redenzione-rivalsa, e in quel momento a tutti andava bene così. Sono stati eletti per forza riflessa (del Mangiafuoco), hanno gongolato e tuonato, e però da qualche parte e sempre più non ci stanno. Vogliono parlare, vogliono confrontarsi, vogliono considerare l’idea di un’alleanza, non vogliono tabù, dice il senatore Luis Alberto Orellana, e insomma vogliono la normalità degli altri, quelli da cui ora è difficile, in fondo, sentirsi diversi come si era diversi a parole nei comizi, pena l’irrilevanza se non il ridicolo.

    Lo sapevano anche prima, i Cinque Stelle: o così o fuori. Hanno firmato carte, gli eletti, hanno visto in quel Grillo-Mangiafuoco sul palco l’arma della catarsi-redenzione-rivalsa, e in quel momento a tutti andava bene così. Sono stati eletti per forza riflessa (del Mangiafuoco), hanno gongolato e tuonato, e però da qualche parte e sempre più non ci stanno. Vogliono parlare, vogliono confrontarsi, vogliono considerare l’idea di un’alleanza, non vogliono tabù, dice il senatore Luis Alberto Orellana, e insomma vogliono la normalità degli altri, quelli da cui ora è difficile, in fondo, sentirsi diversi come si era diversi a parole nei comizi, pena l’irrilevanza se non il ridicolo. E a un certo punto la parola risuona nella sala gravata per il secondo giorno dallo streaming che i senatori a Cinque Stelle si sono autoimposti con molta riluttanza: “ipocrisia”, dice Enrico Cappelletti (o troviamo il modo di consultare davvero i cittadini, e non per le espulsioni, oppure “abbandoniamo l’ipocrisia di dirci portavoce”). Lo specchio rimanda l’immagine che il non-onorevole che vuol chiamarsi cittadino non è contento di vedere.

    Si è insinuato ormai tra quelle mura il dubbio di girare senza meta in un vuoto ancora più vuoto della scatola di tonno ritirata fuori per l’occasione, ieri, da un Beppe Grillo in vena di usato sicuro: la chiamata alle armi, l’annuncio di un nuovo Vaffa day, l’arringa alle truppe per disegnare un mondo grillino sotto assedio. “Grillismo come bigottismo”, aveva detto il giorno prima la senatrice Enza Blundo riassumendo i problemi del gruppo, e quell’equazione resta lì, alla ripresa mattutina dello streaming, non cancellata dal Grillo che parla di scacchi e di nemici che là dentro, a molti senatori, appaiono alla fin fine poco reali, mulini a vento per Don Chisciotte, al massimo, magari pure impalpabili creature della mente. “Astio”, dice poi il senatore medico Maurizio Romani, l’astio che serpeggia tra compagni di strada cliccati sul Web da pochi intimi alle parlamentarie, compagni diversi nei modi e incerti negli obiettivi: il realista Luis Alberto Orellana, realista tardivo come tutti i cosiddetti “dissidenti” grillini, dice che non si possono “avere paraocchi” sulle alleanze, che “in cinquanta fare un governo è difficile” e scandalizza gli astanti cosiddetti “talebani”. Nicola Morra lo chiama “errore”, Sergio Puglia suggerisce la fuoriuscita spontanea, ma il sentimento sottostante accomuna questi e quelli: il pianeta Gaia sognato da Casaleggio non esiste, il non partito sognato da Grillo neanche. Ci sono le correnti, i capi carismatici, le “cloache” di insulti via Whatsupp, come dice il senatore Carlo Martelli, tra chi lotta per sopravvivere in vista di futuri clic.

    E’ il leak rivelatore dell’impossibilità di essere come ci si era immaginati, quel sussulto di angoscia di chi, come Alessandra Bencini e Luis Orellana, si chiede: siamo portavoce di chi e di che? E quando Grillo, via blog, parla dell’M5s come della “variabile non prevista” dalla casta, sui senatori e sui deputati in riunione congiunta piomba un dubbio sgradevole: non saremo per caso noi, con questa irresistibile voglia di normalità, l’imprevedibile che avanza?

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.