Il fronte sud di Obama in Siria
Il New York Times racconta gli incontri del presidente americano Barack Obama con i leader del Congresso e con i senatori repubblicani, per convincerli ad appoggiare la guerra – in forma limitata – contro l’esercito siriano e il governo di Bashar el Assad. Sepolto a metà del resoconto, ecco un passaggio cruciale: il presidente per far intendere ai senatori che sta facendo qualcosa di concreto oltre a pensare agli strike dice che “una prima squadra di ribelli addestrati dalla Cia è già entrata in Siria”. L’esistenza di un programma di addestramento per ribelli gestito dai servizi segreti americani in Giordania è la grande zona d’ombra della guerra civile siriana.
Il New York Times racconta gli incontri del presidente americano Barack Obama con i leader del Congresso e con i senatori repubblicani, per convincerli ad appoggiare la guerra – in forma limitata – contro l’esercito siriano e il governo di Bashar el Assad. Sepolto a metà del resoconto, ecco un passaggio cruciale: il presidente per far intendere ai senatori che sta facendo qualcosa di concreto oltre a pensare agli strike dice che “una prima squadra di ribelli addestrati dalla Cia è già entrata in Siria”. L’esistenza di un programma di addestramento per ribelli gestito dai servizi segreti americani in Giordania è la grande zona d’ombra della guerra civile siriana. Si sa che c’è, sono usciti dettagli importanti e racconti dei ribelli, ma non c’era ancora stata una conferma ufficiale da Washington o dagli altri presunti partner (come la Giordania o l’Arabia Saudita), soltanto voci di anonimi oppure smentite. Ora il New York Times attribuisce la conferma direttamente al presidente.
C’è un’altra informazione che trapela dagli incontri di Obama: la campagna contro Assad non sarà fatta soltanto di strike con gli aerei e i missili, ma prevede una seconda fase più ampia, che punta al regime change contro Assad senza però schierare soldati americani a terra – l’ultima bozza dell’autorizzazione a usare la forza militare sottoposta al Congresso lo vieta esplicitamente. Il generale in congedo Jack Keane ha parlato con i senatori e dice che “il piano di Obama è molto più sostanzioso di quanto ci hanno fatto credere” (breve digressione: Keane ora fa l’analista militare e nel 2006 fu l’architetto del surge, il piano per aumentare le truppe americane a Baghdad, una mossa considerata quasi suicida – a cui Obama si oppose in veste di senatore – ma che sul campo funzionò). Da tempo il presidente dichiara che Assad dovrebbe lasciare il potere, ma adesso ma lega questo suo desiderio politico all’azione militare minacciata contro la Siria.
Questa strategia più ampia è portata avanti da un asse formato dal direttore della Cia, John Brennan, e dal capo dei servizi segreti sauditi, il principe Bandar bin Sultan. Il Wall Street Journal ha dedicato al saudita, ex ambasciatore a Washington e storico amico della famiglia Bush, un articolo molto dettagliato, soprattutto sulla sua intensa attività di lobbying contro il presidente Assad. Il pezzo comincia così: “Dentro la Cia hanno capito che l’Arabia Saudita diceva sul serio a proposito di rovesciare il presidente siriano Bashar el Assad quando il re saudita ha nominato il principe Bandar bin Sultan a capo delle operazioni”. Brennan e il principe fanno addestrare ribelli siriani – in gran parte sono ex ufficiali dell’esercito siriano che hanno disertato – in Giordania, soprattutto all’interno della base Kasotc, un enorme poligono di tiro nel deserto disegnato nel 2009 su specifiche fornite dal Pentagono (come scrisse il Foglio già nel dicembre 2012). Da lì i ribelli che superano il processo di “vetting” degli americani dovrebbero scivolare in Siria attraverso il confine – che è sorvegliato dai militari amici di Amman. Ad aprile il Washington Post rivelò che – secondo fonti giordane – i ribelli addestrati dagli americani sono 3.000 e che il loro esordio nella guerra era previsto per giugno. Poi non si è più saputo nulla, fino al giorno dopo la strage chimica a Damasco, il 22 agosto, quando il Figaro ha scritto che trecento ribelli addestrati dalla Cia erano già nella regione della capitale, con uno scoop che è sembrato un’imbeccata vaga senza prove materiali.
Il Wall Street Journal scrive che Bandar vola di frequente verso “centri di comando clandestini vicino alla linea del fronte siriano”, ed è facile immaginare che siano quelli in Giordania. Cia e sauditi stanno aiutando il cosiddetto “fronte sud” della guerra contro Assad, da distinguere da quello nord, che passa per Aleppo, Idlib e Raqqa ed è dominato da gruppi islamisti spesso vicini ad al Qaida.
Il fronte sud è formato soprattutto da ribelli moderati, scrive il saggista Michael Weiss sul giornale Now Lebanon, che è in contatto con fonti in quella zona della Siria. Racconta un aneddoto: “Un ribelle ha bestemmiato durante i combattimenti, gli islamisti volevano processarlo, sono stati cacciati”. Con l’aiuto degli sponsor americani e sauditi, i moderati dovrebbero prendere parte alla battaglia decisiva di Damasco, conquistarsi un ruolo di preminenza all’interno della ribellione e anche essere pronti, dopo l’eventuale fine di Assad, a combattere gli estremisti. E’ una strategia che ha un orizzonte ancora lontanissimo.
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