Non basta il sexting per sentirsi giovani, ora si sculetta col “twerking”

Annalena Benini

Avevate da poco imparato la parola “selfie” (autoscatto, di solito compulsivo e condiviso sui social network con una certa assiduità, tale da far pensare a una dipendenza o almeno a un tic nervoso delle labbra quasi sempre a forma di bacio) e “sexting” (l’evoluzione del sesso telefonico, è il sesso attraverso scambio di messaggi, foto di parti del corpo o di corpi interi se si dispone di uno specchio abbastanza grande, ma l’ideale è il doppio specchio) e pensavate di essere salvi. Aggiornati, giovani, capaci di sostenere qualunque conversazione senza sembrare i soli sopravvissuti, aggrappati a uno scoglio fino a stamattina, a un disastro aereo di dieci anni fa.

    Avevate da poco imparato la parola “selfie” (autoscatto, di solito compulsivo e condiviso sui social network con una certa assiduità, tale da far pensare a una dipendenza o almeno a un tic nervoso delle labbra quasi sempre a forma di bacio) e “sexting” (l’evoluzione del sesso telefonico, è il sesso attraverso scambio di messaggi, foto di parti del corpo o di corpi interi se si dispone di uno specchio abbastanza grande, ma l’ideale è il doppio specchio) e pensavate di essere salvi. Aggiornati, giovani, capaci di sostenere qualunque conversazione senza sembrare i soli sopravvissuti, aggrappati a uno scoglio fino a stamattina, a un disastro aereo di dieci anni fa. Poi un pomeriggio è arrivata a casa una sedicenne e ha detto a sua madre, in quel modo velocissimo che hanno le ragazze giovani di parlare e al tempo stesso muoversi e guardarsi allo specchio per sistemare l’eyeliner, che la sua amica americana è stata messa in punizione dai genitori (niente sabati sera per un mese) per avere messo su YouTube un video in cui fa twerking con le amiche, e insomma che bigotti, scialla, mica è vietato, cioè dai, che vecchi, lei è disperata, ha detto che scappa e viene qui da noi, io le ho scritto su Facebook: scialla, che aspetti, miss u.

    All’improvviso, tutta l’inadeguatezza tenuta nascosta con fatica è tornata prepotentemente ad avvolgerci, il superamento, l’impreparazione sono tutti lì in una parola nuova, “twerking”: la parodia di Fiorello delle adolescenti che gridano ai genitori: vecchiii, siete vecchiii è quello che ci meritiamo per non sapere niente del mondo nuovo. Twerking è un modo di ballare sculettando molto, piegandosi molto, scuotendo, sollevando e insomma mostrando di possedere cosce e glutei ben tesi (“mamma tu ad esempio è meglio se balli il valzer”, sorride feroce la sedicenne): niente budini tremolanti, niente colpi della strega, niente edema polmonare. E’ un ballo sessualmente provocante, scrive il New York Times (su YouTube ci sono tutte le indicazioni necessarie per impararlo e gli indumenti più adatti per valorizzarlo), è un verbo che entrerà nel dizionario di inglese (insieme a sexting e a selfie), è una nuova preoccupazione dei genitori, che quando aspettano i figli fuori dalla discoteca, alle tre del mattino, si chiedono: anche la mia bambina starà muovendo gli shorts come Miley Cyrus agli Mtv Music Awards domenica scorsa? (perché ogni genitore responsabile è andato immediatamente a vedere quel video).

    Miley Cyrus era la ragazza Disney, era “Hannah Montana”, era tanto carina e pochi giorni fa sul palco degli Mtv Awards ha fatto questo twerk con Robin Thicke e la lingua fuori, circondata da giganteschi orsi di peluche. “Non mi interessano i commenti negativi, ha detto dopo, quante volte è già successo nel mondo del pop? Con Madonna, con Britney Spears: è quello che tutti cercano quando vogliono fare la storia”. Il New York Times consiglia ai figli di spiegare pazientemente ai genitori, per non spaventarli, che quello è stato per Miley Cyrus un atto di appropriazione culturale dopo un’infanzia passata sotto i riflettori Disney, un modo per segnare una crescita, un distacco, “e insomma chi siamo noi per giudicare?”, e che quando un ragazzo e una ragazza si amano molto e sono molto sudati in una discoteca con musica tecno, possono darsi al twerking per dichiararsi l’un l’altro sentimenti di affetto profondo. Alcune madri, per dimostrare ai ragazzi di non avere pregiudizi, hanno chiesto con un filo di voce: “Mi fai vedere come si fa?”, tentativo estremo di non perdere del tutto il controllo: la risata che hanno ricevuto in risposta non aveva in effetti più nulla a che fare con il mondo Disney.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.