Il generale che può fare pace in Siria
“Beautiful”, ha detto ieri il presidente americano Barack Obama guardando il Palazzo di Costantino e il cielo di San Pietroburgo. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui e sul presidente russo, Vladimir Putin, per leggere il loro linguaggio del corpo – la decifrazione riempie i discorsi dei diplomatici – durante l’unico incontro faccia a faccia previsto ieri dal programma del G20, quello del saluto rituale in piedi ai capi di stato che arrivano in limousine. Ma gli osservatori sono andati delusi. L’incontro è durato 15 secondi, una stretta di mano franca, sorrisi esagerati e “Beautiful”, appunto.
“Beautiful”, ha detto ieri il presidente americano Barack Obama guardando il Palazzo di Costantino e il cielo di San Pietroburgo. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui e sul presidente russo, Vladimir Putin, per leggere il loro linguaggio del corpo – la decifrazione riempie i discorsi dei diplomatici – durante l’unico incontro faccia a faccia previsto ieri dal programma del G20, quello del saluto rituale in piedi ai capi di stato che arrivano in limousine. Ma gli osservatori sono andati delusi. L’incontro è durato 15 secondi, una stretta di mano franca, sorrisi esagerati e “Beautiful”, appunto. Troppo poco per sapere qualcosa in più sulla tensione tra Mosca e Washington che ha portato all’annullamento dell’incontro bilaterale tra i due presidenti.
L’americano affronta una complicata partita diplomatica all’estero perché il summit russo è (anche) una riunione internazionale sulla Siria, ma c’è la contrapposizione dichiarata di Putin, che mercoledì sera ha definito il segretario di stato americano, John Kerry, “un bugiardo che sa di mentire” – per quello che ha detto durante il suo briefing al Senato. Obama affronta un’altra partita diplomatica sulla Siria in casa, dove è chiamato a convincere un Congresso riluttante a votare a favore della guerra contro il presidente siriano Bashar el Assad. I conteggi dei giornali americani per ora mostrano che i seggi a favore sono molto indietro rispetto a quelli contrari. Obama ha cancellato un viaggio lunedì a Los Angeles per lavorare dalla Casa Bianca al voto della settimana prossima.
Dalla Turchia arriva la notizia della defezione dal regime siriano di Ali Habib, capo di stato maggiore dal 2004 al 2009, poi ministro della Difesa fino al 2011: è il generale alawita più alto in grado ad abbandonare il presidente Assad. La defezione di Habib è interessante non soltanto perché tradisce una spaccatura all’interno dell’establishment alawita, in teoria il più leale con la famiglia Assad, ma anche perché lascia intravedere una possibile, futura mediazione tra opposizione e governo.
La fuga del generale dev’essere stata un’operazione complessa, perché secondo fonti del Foglio era stato confinato in un piccolo appartamento della capitale senza più le sue guardie del corpo personali ed era sorvegliato dal governo, a partire dal tardo 2011. Habib aveva presentato al presidente Assad un piano per negoziare pacificamente con i manifestanti della città di Hama, che allora ospitava le proteste di piazza più grandi della Siria. Assad aveva rifiutato la proposta e aveva ordinato invece di usare la forza e di sparare. Il capo dell’intelligence siriana, Jamil Hassan, aveva visitato il generale proponendogli la creazione di un consiglio militare agli ordini dei servizi segreti e non più del ministero della Difesa, per agire con più efficacia. Habib aveva rifiutato in entrambi i casi: niente spari contro le proteste di Hama e niente subordinazione ai servizi, era stato dimesso dal posto di ministro ed era caduto in disgrazia. Proprio per questo a Damasco il suo nome circolava molto nel 2011 come possibile candidato alla guida di un governo di transizione, che sostituisse Assad e trattasse con l’opposizione, il tutto con la benedizione di Mosca. L’opposizione lo aveva persino riconosciuto come possibile interlocutore, perché non ha responsabilità nella repressione. Poi si era fermato tutto. Fino a due giorni fa.
Habib ha anche rapporti amichevoli con i sauditi, broker essenziale in qualsiasi, eventuale negoziato tra opposizione e regime e ha una reputazione migliore di Manaf Tlass, generale disertore e amico personale del presidente. Di Tlass si è parlato come possibile leader dell’opposizione, ma è considerato troppo corrotto.
Su questo fronte della diplomazia segreta c’è anche da registrare la “sparizione” dalla scena del generale iraniano Qassem Suleimani, che è l’ideatore della rimonta militare di Assad contro i ribelli, o meglio: è l’ideatore della strategia pesantemente dipendente dagli aiuti dall’estero che ancora permette al governo siriano di reggere. Suleimani doveva parlare martedì all’Assemblea degli esperti sulla Siria. Ma ogni traccia del suo discorso è stata fatta sparire dai media iraniani. Per ora non è uscita nemmeno una fotografia.
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