C'è 8 settembre e 8 settembre
Tutti i capi dello stato italiani hanno sempre avuto presente la minaccia per l’unità nazionale rappresentata dalle contrapposizioni politiche estreme, che ha come data simbolica quella dell’8 settembre del 1943. All’avvicinarsi del settantesimo anniversario di quella giornata nefasta, in cui le istituzioni non seppero reagire a una situazione terribilmente critica e mancarono al loro dovere di fornire indicazioni ai cittadini, Giorgio Napolitano ha rivolto un drammatico appello alla responsabilità per evitare all’Italia una situazione di caos e di instabilità.
Tutti i capi dello stato italiani hanno sempre avuto presente la minaccia per l’unità nazionale rappresentata dalle contrapposizioni politiche estreme, che ha come data simbolica quella dell’8 settembre del 1943. All’avvicinarsi del settantesimo anniversario di quella giornata nefasta, in cui le istituzioni non seppero reagire a una situazione terribilmente critica e mancarono al loro dovere di fornire indicazioni ai cittadini, Giorgio Napolitano ha rivolto un drammatico appello alla responsabilità per evitare all’Italia una situazione di caos e di instabilità. Naturalmente la situazione non è quella del 1943, l’indipendenza in discussione è oggi quella economica (che è poi il carattere simmetrico o meno dell’interdipendenza) e non quella statale, ma il pericolo di una crisi di autorità delle istituzioni, devastate dall’irrompere di uno strapotere giudiziario che distrugge il faticoso equilibrio raggiunto, è comunque reale. Napolitano centra il suo appello sulla fiducia in Silvio Berlusconi, nel suo senso di responsabilità nazionale che considera superiore alla sua comprensibile amarezza per le vicende di cui è oggetto. Si tratta di un appello serio, motivato, per qualche aspetto sofferto, in cui si legge la preoccupazione per l’unità nazionale. Non è affatto una richiesta arrogante di resa unilaterale, come dicono i corifei del partito delle procure, a cominciare dal vice di Ezio Mauro alla direzione di Repubblica, Massimo Giannini, che considera la “pacificazione” un movente in totale contrasto con lo spirito delle iniziative di Napolitano, che pretende di interpretare ma che in realtà vuole far fallire. Giannini e i tanti che come lui svillaneggiano la drammatica condizione dei sostenitori di Berlusconi come “tragicommedia”. Non si tratta solo di una differenza di sensibilità e di una mancanza di buon gusto, ma di una concezione che accetta anzi sostiene la mutazione istituzionale di fatto che si esprime nella subordinazione della politica, della democrazia e della sovranità popolare allo strapotere giudiziario. E’ questo il moderno “esercito di occupazione” cui si contrappone un’ipotesi di “resistenza”, in un quadro generale che si configura come una contrapposizione inconciliabile e permanente.
La pacificazione, che tanto disgusta Giannini e tutti i rinfocolatori e i manettari, è l’antidoto a questa deriva e si tratta di una pacificazione tra le forze reali, in base al principio di realtà che Napolitano conosce bene, soprattutto perché è abituato a utilizzarlo senza autocompiacimenti al limite del negazionismo, come fa invece Rep.
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