Il magnate dell'oro (anti Murdoch) e il vento che gira in Australia

Michele Masneri

Le elezioni australiane di sabato scorso saranno ricordate non solo per la vittoria dei conservatori finora all’opposizione e per il flop del wiki-candidato Julian Assange, ma anche per l’exploit di un curioso personaggio. Alle elezioni parlamentari di sabato infatti l’opposizione conservatrice guidata da Tony Abbott ha vinto con il 53 per cento dei consensi contro il 47 per cento dei laburisti di Kevin Rudd, al potere da sei anni. Per il fondatore di Wikileaks, a cui alcuni analisti prospettavano un risultato intorno al 25 per cento, si è registrato un modestissimo 0,62 per cento con circa diecimila voti, e nessuna possibilità di entrare in Parlamento.

    Le elezioni australiane di sabato scorso saranno ricordate non solo per la vittoria dei conservatori finora all’opposizione e per il flop del wiki-candidato Julian Assange, ma anche per l’exploit di un curioso personaggio. Alle elezioni parlamentari di sabato infatti l’opposizione conservatrice guidata da Tony Abbott ha vinto con il 53 per cento dei consensi contro il 47 per cento dei laburisti di Kevin Rudd, al potere da sei anni. Per il fondatore di Wikileaks, a cui alcuni analisti prospettavano un risultato intorno al 25 per cento, si è registrato un modestissimo 0,62 per cento con circa diecimila voti, e nessuna possibilità di entrare in Parlamento.
    Chi dovrebbe invece entrare con toni trionfali – il condizionale è d’obbligo per il complicato sistema di preferenze della legge elettorale locale e per il peso decisivo in alcuni collegi del voto per posta – è Clive Palmer, magnate delle miniere d’oro, e simpatico cialtrone che tra le sue imprese presunte o reali annovera un parco divertimenti con dinosauri giganti, il varo di un transatlantico identico al Titanic e una guerra con l’australiano più ingombrante del mondo, Rupert Murdoch. Palmer, cinquantanove anni, chioma candida e stazza eccentrica, possiede miniere d’oro, nichel e carbone nello stato del Queensland (nell’est del paese) e secondo Forbes una fortuna di 795 milioni di dollari; ha una catena di resort di lusso tra cui uno a Coolum Beach che l’anno prossimo dovrebbe essere trasformato in una specie di Jurassic Park con dinosauri robotizzati a grandezza naturale. Sta anche per entrare nel business delle crociere, con una nave del tutto identica al Titanic affondato nel 1912 “ma senza tv e Internet, per ricreare la stessa esperienza dell’originale”, e fino all’anno scorso era il patron del Gold Coast United, prima che la squadra di serie A fosse espulsa dalla Lega calcio australiana, perché tra i vari abusi contestati il presidente usava le maglie dei calciatori per i suoi slogan politici.

    La passione per la cosa pubblica è tanto forte che nei mesi scorsi l’imprenditore ha fondato il suo partito, il Palmer United Party, e, grazie alla crisi delle materie prime nel suo feudo del Queensland dove si concentra il business minerario, dovrebbe aver portato a casa il seggio parlamentare per sé oltre a un altro paio di posti in Parlamento. In campagna elettorale ha promesso una “turbo-crescita” per l’Australia, con ricette choc: facendo pagare le tasse alle imprese solo a fine anno, e non ogni trimestre, sostiene che si genererebbe un pil di 64 miliardi di dollari. Anche sull’immigrazione ha idee curiose: porte aperte ai clandestini purché arrivino in aereo, “per evitare i pericolosi viaggi via mare attraverso l’Oceano indiano”. Alla domanda di un giornalista sui suoi possibili conflitti di interesse ha risposto semplicemente che “è solo perché ho più soldi di quanti tu potresti solo sognare di avere”. Finora comunque non è stato preso molto sul serio. Qualche giorno fa un articolo sull’Australian, quotidiano di proprietà di Murdoch, ha fatto a pezzi il suo curriculum: non sarebbe un professore universitario, né un consulente del G20, titoli che millanta in pubblico. Si ironizza sulla stampa anche sul suo essere “patrimonio nazionale vivente”, titolo attribuitogli l’anno scorso dal National Trust of Australia in base a un sondaggio per rispondere al quale avrebbe mobilitato tutti i suoi dipendenti.

    La reazione di Palmer all’articolo è stata drammatica: ha annunciato querela per diffamazione e in un talk-show si è accanito contro “questo straniero che vuole controllare la politica australiana e il pensiero di tutti noi”. Soprattutto la sua furia si è concentrata contro l’ex moglie di Murdoch, Wendi Deng, che “è una spia internazionale, addestrata nel sud della Cina, e Murdoch l’ha mollata quando se ne è accorto. Non dico balle”. Murdoch non si è degnato di rispondergli, e pare invece molto soddisfatto (al netto del risultato elettorale di Palmer) della svolta a destra del suo paese d’origine. In un tweet di sabato l’editore celebrava la fine di “politiche di spesa pubblica succhiasangue. Altre nazioni seguiranno l’esempio”. E ieri il (suo) Wall Street Journal ripeteva a ruota, in un editoriale entusiasta, che quella australiana “è una lezione per Stati Uniti ed Europa”.