La diplomazia irreale

Perché la proposta Kerry sulle armi chimiche di Assad non funziona

Daniele Raineri

La proposta Kerry sul trasferimento immediato di tutte le armi chimiche siriane sotto una non meglio specificata responsabilità internazionale ieri si è consolidata in un argomento diplomatico serio – anche se non per questo meno irreale, considerate le difficoltà tecniche pressoché insormontabili. Il presidente Barack Obama ha parlato con il premier britannico, David Cameron, e con il presidente francese, François Hollande, e tutti e tre sono d’accordo sul portare la proposta in Consiglio di sicurezza alle Nazioni Unite.

    La proposta Kerry sul trasferimento immediato di tutte le armi chimiche siriane sotto una non meglio specificata responsabilità internazionale ieri si è consolidata in un argomento diplomatico serio – anche se non per questo meno irreale, considerate le difficoltà tecniche pressoché insormontabili. Il presidente Barack Obama ha parlato con il premier britannico, David Cameron, e con il presidente francese, François Hollande, e tutti e tre sono d’accordo sul portare la proposta in Consiglio di sicurezza alle Nazioni Unite. La Francia ha anche detto che proporrà una risoluzione Onu che obblighi il governo di Damasco a rispettare un “piano preciso, concreto e fattibile”, altrimenti per la Siria ci saranno “gravissime conseguenze”. La Russia, che due giorni fa appoggiava con entusiasmo l’idea, ieri invece ha risposto di essere a priori contro una risoluzione Onu e di preferire una dichiarazione non vincolante. Intanto, a Damasco, mentre il ministro degli Esteri Walid al Moallem dichiarava l’intenzione di firmare la convenzione sulle armi chimiche, gli aerei sono tornati a bombardare i quartieri di periferia in mano ai ribelli. Non lo facevano dal 21 agosto, data della strage chimica a Ghouta. Ol governo siriano ha ripreso confidenza e non teme più che l’esercito e gli aeroporti militari siano il bersaglio di uno strike imminente.

    La proposta Kerry è presa in considerazione perché sembra una soluzione elegante capace di evitare la campagna aerea, ma ci sono difficoltà pratiche prima che politiche. Il governo siriano ha 1.500 tonnellate di armi chimiche (è una stima), sotto forma di precursori – gli elementi che mescolati diventano armi – o di sostanze già pronte per l’uso. Le strutture attrezzate più vicine per trattarle sono in Libia e Russia e per trasferirle là sarebbe necessario organizzare un’operazione di trasporto colossale – incluso un ponte aereo – partendo da siti multipli che si trovano dentro un paese in guerra. Non suona come un’opzione praticabile e sicura. Per sbarazzarsi delle armi chimiche sul posto, in Siria, in teoria sono possibili tre metodi, come spiega l’esperto militare John Ismay su Foreign Policy: incenerirle, “trattarle termicamente” o neutralizzarle dissolvendole con soda caustica e acqua.

    Per la prima opzione sarebbe necessario costruire sul posto gli inceneritori e trasferire in Siria il personale – e se anche non ci fossero problemi di sicurezza sarebbe tutto molto lento. Gli Stati Uniti hanno impiegato 14 anni a smaltire 1.800 tonnellate di armi chimiche in un sito specializzato, su una tranquilla isola del sud Pacifico. Secondo Cheryl Rofer, un’esperta nella distruzione di scorie pericolose che ha lavorato nei laboratori di Los Alamos, in Siria ci vorrebbero almeno cinque anni. E’ difficile fare previsioni sulla situazione in Siria da qui a cinque anni.
    La seconda opzione, la “neutralizzazione chimica”, altro non è che la distruzione con esplosivo, ma per essere sicura l’esplosione dev’essere molto potente: la proporzione raccomandata tra plastico e sostanza da eliminare è di almeno dieci a uno, e considerato che ci sono 1.500 tonnellate di armi chimiche da vaporizzare sarebbe necessario trasferire in Siria dieci volte quella quantità di esplosivo.

    Non appartiene alla categoria delle buone idee. La terza opzione sprigiona fumi tossici ed è considerata dagli esperti ancora più pericolosa delle prime due. Inoltre Assad dovrebbe collaborare pienamente e consegnare una lista dei depositi di armi chimiche e un inventario preciso – ieri il ministro al Moallem ha detto che lo farà, ma è tutto da dimostrare. Se non lo facesse? Secondo una fonte del New York Times “il governo americano in questo momento ha informazioni precise soltanto su 19 dei 42 siti sospetti”.
    La neutralizzazione dell’arsenale chimico di Damasco richiede i “boots on the ground”, la presenza di un contingente militare – per esempio di peacekeeper Onu. Che succederebbe se alcune brigate ribelli decidessero di sabotare un piano che è sponsorizzato dai russi – considerati nemici come il rais – e che allunga la vita politica di Assad? Il Pentagono nel 2012 calcolò che per mettere in sicurezza i siti siriani sono necessari circa 75 mila soldati.

    Per comprendere quanto Washington sia a corto di soluzioni rapide per smantellare le scorte chimiche di Assad: a maggio su un sito americano di appalti scientifici è apparsa un’offerta anonima, un bando che chiede una soluzione per eliminare depositi di armi chimiche (e questa soluzione dev’essere trasportabile su aerei cargo C-17). Il bando è stato collegato al Pentagono.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)