Crisi non sprecate

La catastrofe siriana fa splendere il russo Putin di una nuova grandeur

Daniele Raineri

La crisi in Siria ammanta il presidente russo, Vladimir Putin, di una nuova grandeur. Putin interviene all’ultimo momento e ferma le operazioni militari americane contro la Siria (anche se sarebbero state “unbelievably small”). Putin allunga la vita del suo alleato a Damasco, il presidente Bashar el Assad, dimostrando da amico generoso tutto il suo potere di protezione. Putin si schiera a difesa della prevalenza della diplomazia sulla guerra, della legge internazionale e del prestigio delle Nazioni Unite. Putin, Putin, Putin.

    La crisi in Siria ammanta il presidente russo, Vladimir Putin, di una nuova grandeur. Putin interviene all’ultimo momento e ferma le operazioni militari americane contro la Siria (anche se sarebbero state “unbelievably small”). Putin allunga la vita del suo alleato a Damasco, il presidente Bashar el Assad, dimostrando da amico generoso tutto il suo potere di protezione. Putin si schiera a difesa della prevalenza della diplomazia sulla guerra, della legge internazionale e del prestigio delle Nazioni Unite. Putin, Putin, Putin.

    In effetti, la proposta sul trasferimento delle armi chimiche siriane sotto il controllo internazionale rende il presidente russo un broker di cui d’ora in poi sarà difficile fare a meno. Di lui ha bisogno il presidente americano Barack Obama, che si è “boxed in”, si è intrappolato da solo in un angolo acconsentendo a questa poco praticabile soluzione diplomatica dell’ultimo minuto. A lui fa riferimento il presidente siriano Bashar el Assad, che ieri ha detto di avere accettato di spostare l’arsenale chimico siriano sotto il controllo internazionale “grazie a Mosca. Gli Stati Uniti non hanno contato in questa decisione”, con un ennesimo sberleffo in faccia all’America, superpotenza riluttante.

    Ieri Putin ha pubblicato sul New York Times un editoriale “per parlare direttamente ai cittadini americani e ai loro leader politici” – e quindi si rivolge al Congresso, non a Obama. Insiste molto su un concetto: l’Amministrazione Obama non deve provare ad agire al di fuori del consenso delle Nazioni Unite, bypassando il Consiglio di sicurezza, se intende agire in Siria. E’ un appello interessato perché in questo momento è dentro il palazzo di Vetro che il Cremlino esercita la sua influenza fondamentale, grazie al potere di veto. Il russo allude anche a una scacchiera più grande, quando scrive che un successo condiviso con l’America sulla questione siriana aprirà la porta ad altre operazioni d’interesse comune. E’ un riferimento chiaro all’Iran, il grande problema-dietro-il problema che impensierisce l’Amministrazione Obama (e anche al caso Snowden, un altro dossier delicato). Mosca in questi giorni ha detto di essere sul punto di vendere i sofisticati sistemi di difesa aerea S-300 a Teheran, il che renderebbe ancora più complicata ogni potenziale operazione di bombardamento contro i siti nucleari iraniani. L’annuncio serve a mettere sul tavolo negoziale un ulteriore argomento.

    Putin sostiene nell’editoriale che sono i ribelli ad avere usato le armi chimiche per provocare una reazione internazionale contro Assad e lancia un avvertimento in stile mafioso: le useranno di nuovo e questa volta contro Israele – e cita non meglio specificati “rapporti”.

    Nell’ultimo paragrafo il presidente russo contesta “l’eccezionalismo americano” di cui ha parlato Obama nel suo discorso di martedì. L’America non è eccezionale, scrive Putin, è una nazione tra le altre perché è necessario ricordare che “tutti gli uomini sono stati creati uguali”; sfregio sarcastico, con citazione della Dichiarazione d’indipendenza americana.

    Lo speaker della Camera, John Boehner, ha detto di sentirsi “insultato” e il dipartimento di stato ha risposto blandamente, ricordando gli standard democratici scarsi della Russia: ma in questa fase Washington non può permettersi niente di più.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)