La Siria dopo il non-strike
Assad nasconde le armi chimiche mentre si parla di conferenza di pace
I negoziati tra americani e russi sul piano per distruggere l’arsenale chimico della Siria puntano oltre, in direzione di una soluzione più ampia. Rispunta la possibilità di tenere una seconda conferenza di pace a Ginevra, come nel giugno 2012: era già stata prevista all’inizio di quest’estate ma poi era finita nel nulla. Se ne riparlerà più tardi, questo stesso mese, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che comincia il 25 settembre e però dipenderà dall’esito del disarmo chimico. Senza quello, realizzato almeno nelle fasi preliminari, non si procederà con il tentativo di organizzare la conferenza di pace.
I negoziati tra americani e russi sul piano per distruggere l’arsenale chimico della Siria puntano oltre, in direzione di una soluzione più ampia. Rispunta la possibilità di tenere una seconda conferenza di pace a Ginevra, come nel giugno 2012: era già stata prevista all’inizio di quest’estate ma poi era finita nel nulla. Se ne riparlerà più tardi, questo stesso mese, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che comincia il 25 settembre e però dipenderà dall’esito del disarmo chimico. Senza quello, realizzato almeno nelle fasi preliminari, non si procederà con il tentativo di organizzare la conferenza di pace. In mattinata il segretario di stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, hanno parlato per poco con i giornalisti. Kerry non è riuscito a sentire parte della traduzione delle parole di Lavrov, il russo ha risposto: “Don’t worry”. L’americano ha ribattuto: “E’ ancora un po’ presto per fidarmi sulla parola”.
In Siria, l’unità d’élite 450 – che ha la responsabilità sulle armi chimiche – sta spostando l’arsenale in 50 siti sparsi in tutto il paese, per rendere il lavoro più difficile agli americani che ne seguono i movimenti, dice un articolo del Wall Street Journal. Il primo grande movimento era stato notato dagli americani già l’anno scorso, quando il governo del presidente Bashar el Assad aveva sparpagliato le armi chimiche che aveva sempre tenuto in poche basi nella Siria occidentale in un paio di dozzine di nuove località. Si spiega così un non meglio specificato allarme americano sulle armi chimiche siriane che nel settembre 2012 era trapelato fino alla stampa.
Gli americani seguono i movimenti dell’unità segreta con i satelliti e con un network di spie a terra assoldate da Israele – e non condividono le informazioni nemmeno con le fazioni ribelli di cui si fidano di più. Ora però, con questa ulteriore dispersione dell’arsenale, gli americani ammettono di saperne “meno di quanto ne sapevamo sei mesi fa”.
Secondo il Wsj, l’unità 450 è formata tutta da alawiti fedeli ad Assad, dal più basso in grado al comandante, e non è più tra i bersagli di un possibile strike perché gli americani preferiscono conservarla integra per svolgere il suo compito principale: custodire le armi chimiche. Qualsiasi piano delle Nazioni Unite per ispezionare i siti chimici siriani avrà bisogno della loro collaborazione. L’unità 450 era stata inserita tra i bersagli perché è nella catena di comando responsabile degli attacchi chimici: secondo Washington l’ordine parte dal presidente Assad o dai membri più potenti del suo clan, passa attraverso il cosiddetto Centro di ricerca siriano per gli studi scientifici – che è una divisione militare, colpita in un bombardamento dagli israeliani – ed è eseguito dall’unità 450. Le armi chimiche non sono pronte all’uso: gli elementi precursori devono essere mescolati e poi caricati sui razzi o sui proiettili con apparecchiature pesanti. Secondo l’articolo, gli americani sono in grado di osservare questo tipo di movimento.
Oltre all’arsenale chimico, Washington chiede anche di accedere a tre siti nucleari siriani che facevano parte di un programma segreto in collaborazione con la Corea del nord bruscamente interrotto da un bombardamento israeliano nel settembre 2007 – i siti non sono mai stati investigati a fondo.
Anne Barnard scrive in un pezzo sul New York Times che è aumentato il ritmo dei rifornimenti di armi ai ribelli da parte dell’Arabia Saudita. E’ uno degli effetti collaterali della svolta improvvisa dell’Amministrazione Obama, che dalla minaccia dello strike è passata a un piano di negoziati con Bashar el Assad ancora indefinito sui tempi ma certamente a lungo termine. I regni del Golfo schierati con i gruppi ribelli si sentono lasciati allo scoperto da Washington nella lotta contro Damasco e ora le armi in più, previste per aiutare i ribelli a dare una spallata militare dopo i bombardamenti americani, hanno assunto il carattere di risarcimento tardivo per l’aiuto mancato. Armi leggere e missili anticarro continuano a passare dal confine giordano e ad arrivare ai guerriglieri che combattono nel sud della Siria. I sauditi e gli alleati arabi temono che quella che interpretano come una pericolosa mancanza di determinazione americana nei confronti di Assad sia soltanto il preludio a una mancanza di determinazione più grave – secondo loro – nei confronti dell’Iran.
Il Pentagono ha annunciato che una portaerei e quattro incrociatori americani rimarranno tra Cipro e Creta per mantenere una “forte postura aggressiva” in caso di attacco alla Siria, a tempo indeterminato.
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