Fotografarsi i diti
Fotografarsi in tanti, fotografarsi tutti, dice il Pd bersaniano (nella persona del senatore Miguel Gotor, su Repubblica) ai compagni che sperino di sfuggire alla maledizione della cosiddetta “base”, l’entità spaventosa che, pensano nel partito, farà pagare sempre più cari i “centouno traditori anti Prodi” e le larghe intese, non rinnovando le già poco rinnovate tessere. Fotografarsi tutti, fotografarsi on line, come antidoto e prova di purezza ideologica (“non siamo stati noi” a salvare il Cav., è il messaggio); fotografarsi e darsi in pasto a un social network per una volta (si spera) salvifico – ma le tricoteuse della rete, fameliche, il giorno dopo vorranno vedere l’arma del delitto, e la corda dell’impiccato.
Fotografarsi in tanti, fotografarsi tutti, dice il Pd bersaniano (nella persona del senatore Miguel Gotor, su Repubblica) ai compagni che sperino di sfuggire alla maledizione della cosiddetta “base”, l’entità spaventosa che, pensano nel partito, farà pagare sempre più cari i “centouno traditori anti Prodi” e le larghe intese, non rinnovando le già poco rinnovate tessere. Fotografarsi tutti, fotografarsi on line, come antidoto e prova di purezza ideologica (“non siamo stati noi” a salvare il Cav., è il messaggio); fotografarsi e darsi in pasto a un social network per una volta (si spera) salvifico – ma le tricoteuse della rete, fameliche, il giorno dopo vorranno vedere l’arma del delitto, e la corda dell’impiccato. Fotografarsi come ultima spiaggia, dallo smartphone, e addirittura farsi fotografare in massa da fotografi compiacenti (“ci mettiamo d’accordo”, dicono dal Pd) e da “guardoni” improvvisamente benedetti che immortalino l’attimo assolutorio a uso dell’Anonima anticasta del web: “L’indice della mano sinistra” che entra “nella buca dello scranno” durante il voto in Aula sulla decadenza di Silvio B., ecco la foto perfetta – ma che sia il dito sinistro e solo il sinistro, in modo da rendere “fisicamente impossibile” esprimere un voto diverso dal “sì”. Speranza sottesa: evitare, con un metodo già usato ai tempi dell’arresto di Alfonso Papa, la cosiddetta temuta “imboscata” di Beppe Grillo (Grillo che fa votare contro la decadenza una ventina dei suoi, in barba alla trasparenza dell’urna, per poi dare la colpa al Pd moribondo). Fotografarsi le dita, allora, in un tripudio di Instagram parlamentare (abbellire il voto con il filtro-colore?), e fotografarsi in catena di montaggio: puro sprazzo di Charlie Chaplin, sarà, vedere quei senatori in fila, ritratti (e autoritratti) nello sforzo supremo di non sbagliare indice, buco e scranno. “Non vorremmo sembrare pianisti se non traditori”, dicono preventivamente quelle foto, ma lo scatto evocato un secondo autoscatto chiama: autofotografarsi in massa, chiedono a se stessi anche i Cinque stelle (nella persona di Claudio Messora, comunicatore al Senato), e postarsi ovunque “contro ogni possibile insinuazione” sui franchi tiratori (“filmiamoci le mani”, dice Messora, ed è un’altra catena di montaggio del sé politico che si specchia e s’addensa ai margini del web).
Foto rubata, si diceva, ma ora la foto è (per disperazione) esternata, e l’occhio indiscreto riabilitato dopo anni di oscurantismo in cui, regnante alla Camera Gianfranco Fini, si cercò di costringere i “professionisti dell’obiettivo”, così li si chiamava, a dotarsi di un “codice di autoregolamentazione” per non fotografare l’infotografabile: il deputato o senatore che dormiva in Aula, il deputato o senatore con le dita nel naso, il deputato o senatore che giocava a videopoker con l’iPad, il deputato o senatore che scriveva “pizzini”. (Nemesi vuole che fosse proprio la foto di un “pizzino” di Enrico Letta al Mario Monti appena insediato a dare il via alla stretta contro le immagini violatrici della privacy politica, ora rigettata in nome della resa agli urlatori di una base che si dice tale per lo spazio di un tweet).
Il Foglio sportivo - in corpore sano