Così il “taglia bollette” rischia di metterci le mani in tasca

Carlo Stagnaro

Da qualche tempo si è fatta strada un’idea curiosa sui prezzi dell’energia: che se ti indebiti di più, spendi di meno. Questo ragionamento, fatto entusiasticamente proprio dal ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, almeno secondo le bozze di un decreto circolate finora, è uno straordinario esempio di come si possa partire da una diagnosi corretta per arrivare a una cura sbagliata. I passaggi logici sono più o meno questi: l’elevato costo dell’energia elettrica è una zavorra per la competitività delle imprese italiane; le cause sono molteplici, ma negli ultimi anni ha acquisito un’importanza crescente il peso dei sussidi alle fonti rinnovabili.

    Da qualche tempo si è fatta strada un’idea curiosa sui prezzi dell’energia: che se ti indebiti di più, spendi di meno. Questo ragionamento, fatto entusiasticamente proprio dal ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, almeno secondo le bozze di un decreto circolate finora, è uno straordinario esempio di come si possa partire da una diagnosi corretta per arrivare a una cura sbagliata. I passaggi logici sono più o meno questi: l’elevato costo dell’energia elettrica è una zavorra per la competitività delle imprese italiane; le cause sono molteplici, ma negli ultimi anni ha acquisito un’importanza crescente il peso dei sussidi alle fonti rinnovabili; di conseguenza, se vogliamo dare respiro al paese, è lì che dobbiamo mettere le mani.

    Il problema è che, nella situazione in cui ci troviamo, non esistono interventi facili o indolori. La spesa aggregata per i sussidi (attorno a 12 miliardi di euro l’anno, di cui la metà per il solare fotovoltaico) è la conseguenza di investimenti già effettuati, proprio sulla base degli incentivi promessi. La soluzione più diretta – il taglio retroattivo degli incentivi – è problematica perché rappresenta una grave violazione della certezza del diritto. Tutto considerato, però, sarebbe probabilmente la via migliore, specie se si concentrasse chirurgicamente su quei soggetti che godono di rendimenti stellari (cioè i produttori fotovoltaici coperti dal secondo o dal terzo conto energia e quelli rientrati dalla porta del Salva Alcoa). Zanonato, invece, ha imboccato una via diversa, cioè quella di far contenti tutti: i produttori rinnovabili mantenendo gli impegni presi, e i consumatori tagliando la bolletta di circa 3 miliardi di euro l’anno per un congruo numero di anni. Come? Attraverso l’emissione di una serie di bond – appunto, 3 miliardi all’anno – il cui raccolto dovrebbe servire ad alleggerire la bolletta elettrica. I dettagli non sono ancora noti, e non sono irrilevanti: per esempio, chi dovrebbe emettere il bond (pare il Gestore dei servizi energetici, Gse) e con quali garanzie.

    E’ però utile tentare di capire a cosa andremmo incontro. Le ipotesi di partenza sono le seguenti: il  Gse (o chi per lui) procede all’emissione annuale di bond dell’entità di 3 miliardi di euro fino al 2021 (cioè per metà del periodo residuo di incentivazione); i bond hanno durata ventennale; il mercato compra i bond a un tasso di interesse del 5 per cento.
    I grafici seguenti ipotizzano due differenti strutture finanziarie dell’obbligazione: la prima (ZanoBond) prevede la tipica obbligazione che viene ripagata ogni anno attraverso una rata che tiene conto sia del capitale, sia degli interessi; la seconda (ZanoBtp) ricalca il Btp, che richiede il pagamento annuale degli interessi e la restituzione del capitale alla fine del periodo. Il grafico illustra lo scostamento rispetto a uno scenario “Business As Usual” nel quale, per semplicità, si immagina un livello di incentivazione costante fino al 2027, e rapidamente decrescente a zero nel 2032 quando termina l’incentivazione dell’ultimo kW di potenza fotovoltaica installato nel 2012. In entrambi i casi, seppure con distribuzioni differenti, l’effetto è quello ovvio: per un periodo limitato (corrispondente al periodo di emissione dei bond) la bolletta aggregata diminuisce, con un picco di 3 miliardi il primo anno (che corrisponde irrealisticamente al 2013). Tuttavia cambia in modo radicale il profilo temporale della spesa per i sussidi: in primo luogo, nel medio termine la spesa annua per incentivi è destinata ad aumentare (come emerge anche dalla relazione tecnica che accompagna le bozze di decreto), e secondariamente il periodo di incentivazione si allunga significativamente, in quanto il pagamento dei sussidi, anziché terminare nel 2032, proseguirà fino al 2043. Inoltre, l’operazione non è priva di costi (corrispondenti agli oneri finanziari): il valore attuale netto dei maggiori flussi di cassa (con un tasso di sconto del 4 per cento) è pari a circa 3 miliardi di euro. Poca roba, si dirà, rispetto alla maestosità del progetto. Eppure, l’equivalente di 3 miliardi di euro (corrispondenti a una maggiore spesa cumulata di circa 28 miliardi di euro nel periodo) non sono bruscolini.

        

     

     

     

     

     

    Tutto finito? Forse sì, ma poiché a pensare male si fa peccato ma non sempre si sbaglia, è bene non lasciarsi sfuggire una notazione che è stata ora accennata, ora convenientemente sottaciuta. Nell’ipotesi qui simulata, il beneficio si distribuisce in modo più o meno equo tra tutti i consumatori: famiglie, piccole imprese, grande industria. C’è invece chi sostiene che uno degli obiettivi sia venire in soccorso dei bisognosi: l’industria elettrica convenzionale (messa alle strette dal combinato disposto tra aumento della produzione rinnovabile e crollo della domanda) e i consumatori energivori. L’una chiede un meccanismo di remunerazione della capacità produttiva inutilizzata “per ragioni di sicurezza del sistema” (il cosiddetto “capacity payment”). L’altra vuole sconti (cioè sussidi) aggiuntivi rispetto a quelli già ottenuti. Secondo ipotesi ragionevoli, il capacity payment può costare attorno ai 500 milioni di euro l’anno; i sussidi agli energivori 1,5 miliardi l’anno. Ma la lista potrebbe essere lunga tanto quanto la fila dei questuanti: merita una menzione speciale il faraonico progetto di una centrale a carbone nel Sulcis per proteggere la produzione di carbone costosissimo e incompatibile con le norme comunitarie sul tenore di zolfo. Ai piccoli consumatori resterebbe (per il periodo di emissione del bond) 1 miliardo mal contato. Siamo nel regno delle ipotesi, ma se il duplice regalo – capacity payment agli elettrici e sconto agli energivori – dovesse durare per il solo periodo di emissione dei bond, l’aggravio complessivo avrebbe un Net Present Value pari a 18 miliardi di euro per lo ZanoBond e 19 per lo ZanoBtp; in termini di valore cumulato, 36 e 48 miliardi, rispettivamente.

    Mr. Zanonato, Tear Down This Bond!
    Non è finita. In Italia, si sa, i regali sono come i diamanti: per sempre. E’ realistico che, nel 2021, l’erede di Zanonato bussi alla porta dell’industria elettrica e degli energivori e, con lo sguardo tristo, comunichi loro che, a partire dall’anno seguente, dovranno sobbarcarsi 2 miliardi di euro addizionali (ovvero gli uni perderanno il capacity payment, gli altri lo sconto)? Forse sì, ma se preferisse mantenere in essere i meccanismi di aiuto – prolungandoli fino al 2043, anno in cui si estingue il pagamento delle rate del bond – il valore attuale netto della spesa crescerebbe a 37 miliardi di euro in entrambi gli scenari (cioè, in termini cumulati, tra i 78 e gli 88 miliardi a seconda dell’architettura finanziaria utilizzata).
    E’ difficile dire quale di questi scenari troverà attuazione, sempre che non intervengano ulteriori cambiamenti. Ma, in tutti i casi, parlare di “taglia bollette” è illusorio e sbagliato: quella che potrebbe essere somministrata al paese è una ristrutturazione del debito implicito nei sussidi rinnovabili. Una operazione destinata a produrre maggiori costi di sistema – tanti o pochi che siano – e soprattutto a scaricarne la gran parte sulle “generazioni future”. Grazie, ma no grazie.

    (Il saggio in versione integrale è da oggi su www.leoniblog.it)