La sinistra e la sua camicia di forza

Claudio Cerasa

Olaf Cramme è un formidabile politologo inglese che ha scritto su uno dei think tank più cool, come direbbe Renzi, della Gran Bretagna un saggio che ogni leader di sinistra dovrebbe leggere per capire qualcosa rispetto ai flop elettorali passati (il Pd) e probabilmente futuri (l’Spd) dei principali partiti della famiglia dei progressisti europei. La tesi di Cramme, direttore di Policy Network (centro studi di Peter Mandelson, vecchio e indimenticabile guru della terza via blairiana), è che il vero errore commesso della gauche negli ultimi anni è quello di aver scelto come proprio collante politico un tema che nel tempo si è trasformato in un clamoroso boomerang: l’anti rigorismo.

    Olaf Cramme è un formidabile politologo inglese che ha scritto su uno dei think tank più cool, come direbbe Renzi, della Gran Bretagna un saggio che ogni leader di sinistra dovrebbe leggere per capire qualcosa rispetto ai flop elettorali passati (il Pd) e probabilmente futuri (l’Spd) dei principali partiti della famiglia dei progressisti europei. La tesi di Cramme, direttore di Policy Network (centro studi di Peter Mandelson, vecchio e indimenticabile guru della terza via blairiana), è che il vero errore commesso della gauche negli ultimi anni è quello di aver scelto come proprio collante politico un tema che nel tempo si è trasformato in un clamoroso boomerang: l’anti rigorismo. In che senso? Cramme sostiene che i partiti di sinistra che hanno l’ambizione di governare – e non soltanto di fare caciara arrampicandosi sui tetti e promettendo di aprire i parlamenti come scatolette di tonno – non possono più permettersi di sfidare le destre adottando solo vecchie e utopistiche categorie economico-politiche come “crescita vs austerità” ma debbano invece rottamare il keynesismo ed entrare in una fase culturale che Cramme definisce così: “New Realism”.

    Il senso del “New Realism” coincide con il necessario riconoscimento da parte delle sinistre dell’esistenza nel nostro continente di una sorta di “Straitjackets”, una camicia di forza, che costringe i partiti a muoversi all’interno di un nuovo perimetro politico in cui promettere nuove e fulminanti e risolutive politiche di spesa rappresenta un’utopia; e in cui è ovvio che la sfida che gli elettori chiedono di combattere non è dire addio alla parola austerità (impossibile) ma rendere compatibili le politiche del rigore con quelle della crescita. Cramme sostiene che “accettare il rigore” sia un passo necessario per costruire una nuova e competitiva sinistra continentale – dato che, dice il direttore del thin tank, ciò che oggi interessa davvero gli elettori non è il tema del ridare una valanga di soldi allo stato, come accadeva un tempo, ma capire piuttosto, più realisticamente, come questi soldi possano essere redistribuiti e come le politiche possano aiutare a spendere bene questi soldi, rendendo lo stato più competitivo e più efficiente di un tempo. A voler essere brutali, la ciccia del saggio è che per molti anni in Europa l’anti rigorismo è stata un’arma simile all’anti berlusconismo. In un primo momento, infatti, l’anti rigorismo crea un formidabile mastice che dà l’impressione di aver trovato una nuova formidabile identità politica. In un secondo momento, quando gli elettori si accorgono che la sinistra non riesce a spiegare come far sparire l’epoca cattiva dell’austerità, l’anti rigorismo diventa però una foglia di fico che svela l’assenza di programmi concreti e mette in fuga gli elettori progressisti, pur alla disperata ricerca di una nuova sinistra riformista. “In altre parole – dice Cramme – la camicia di forza dell’Europa costringe a muoversi in uno spazio stretto in cui gli elettori alla fine sanno che ciò che più conta è il tasso di riformismo e non il tasso di anti rigorismo. Promettere di superare l’austerità non ha più senso. E prima la sinistra comprenderà il senso di questa nuova fase storica, prima riuscirà a dimostrare ai suoi elettori di essere davvero una forza credibile, e non irresponsabile”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.