“Capire le mie stesse tesi” (così Barca spiega Barca nel libro di Barca)

Marianna Rizzini

Si era messo in viaggio per l’Italia – e non ha ancora finito – per “capire meglio” le sue stesse tesi, per “convincere ed essere convinto”. Questo dice a un certo punto Fabrizio Barca nel libro “La traversata” (appena uscito per Feltrinelli, con lunga intervista di Stefano Feltri), e allora è chiaro che il viaggio per l’Italia di Fabrizio Barca è servito quantomeno a Fabrizio Barca, il non-candidato al congresso Pd che dice e non dice – dice che “deciderà, forse” chi votare come segretario (ma nessuno dei quattro candidati ha detto quello che lui vuole sentire: “Come costruire una forma partito moderna”) – e che tuttavia vuole tenersi il ruolo del “rompiballe sui contenuti”.

    Si era messo in viaggio per l’Italia – e non ha ancora finito – per “capire meglio” le sue stesse tesi, per “convincere ed essere convinto”. Questo dice a un certo punto Fabrizio Barca nel libro “La traversata” (appena uscito per Feltrinelli, con lunga intervista di Stefano Feltri), e allora è chiaro che il viaggio per l’Italia di Fabrizio Barca è servito quantomeno a Fabrizio Barca, il non-candidato al congresso Pd che dice e non dice – dice che “deciderà, forse” chi votare come segretario (ma nessuno dei quattro candidati ha detto quello che lui vuole sentire: “Come costruire una forma partito moderna”) – e che tuttavia vuole tenersi il ruolo del “rompiballe sui contenuti”. “Capire meglio le mie stesse tesi”: mirabile proposito era, per Barca, questo sì, visto anche il suo ricorso massiccio al concetto di “infrastruttura cognitiva” – concetto che ti viene incontro a pagina 78 per poi tornare, riassunto e corretto, infinite volte, ma per quante volte uno legga, qualcosa sempre sfugge (il senso politico?) di quel processo per cui le “conoscenze” vanno “su e giù”, di qui e di là, per poi finire nel “wiki-partito”, nel “partito-palestra” e nel partito non liquido, per carità, il cui faro si chiama “sperimentalismo democratico” (corredato dal “monitoraggio” che permetterà infine di “incidere sul proprio destino” di elettori e cittadini). Ora che Fabrizio Barca ci ha anche scritto un libro, la situazione è sempre la medesima: lo “sperimentalismo democratico” e l’infrastruttura “cognitiva” non vogliono dire ma vogliono dire sempre la stessa cosa, e cioè che Barca, neo tesserato del Pd, ex ministro nel governo Monti, ex elettore di Nichi Vendola, di nuovo dirigente al ministero dell’Economia, c’è e non c’è, c’era e non c’era. Vuole fare il “battitore libero” che “rompe incrostazioni e costruisce ponti”, ma non direttamente (tu che fai?, gli chiedono invano nelle sezioni). Era ministro della Coesione territoriale nel governo tecnico, ma si dice contrario alla gestione dello stato da parte dei tecnici (no alle élite, no al “minimalismo”). Lavorava al ministero dell’Economia anche in anni di governo berlusconiano, ma dice di aver accettato di farlo solo dopo aver chiesto il permesso ai “grandi vecchi” della famiglia ex-post-neo comunista, e che comunque con Berlusconi era spesso “in disaccordo”. Come ministro di Monti ha giurato senza fare distinguo, ma oggi racconta di aver detto inizialmente un “nì” che Monti ha interpretato come “sì” (e comunque quel giorno “non avevo le scarpe adatte per salire al Quirinale”, dice). Vuole la partecipazione larghissima, Barca, ma anche la decisione in mano agli iscritti. Non vuole il “retropensiero aristocratico” della vecchia sinistra ma non rinuncia al tic aristocratico della vecchia sinistra che fa notare di essersi sentita a disagio nel regno del nemico (il suddetto lavoro al ministero sotto Berlusconi) per poi bearsi di essere considerata eroica dalla “base” (Barca cita nel libro il commento del militante che in quel di Bari, nel bel mezzo di un incontro con i Giovani democratici, ha trovato l’ex ministro meravigliosamente “incosciente”, “iscritto al partito in un momento di crisi, come gesto politico, simbolico… per tessere il filo di un pensiero comune”).

    Quanto comune sia, nel Pd, il pensiero di Barca, è da vedere, ma non importa, ché il neo iscritto e non candidato è già in marcia “dietro al sipario del partito”, così dice mentre chiede a gran voce (ai candidati al congresso cui non partecipa da candidato) l’attivazione di occhi, orecchie e “armamentari di indicatori” che possano scandagliare il lungo percorso “a ostacoli” del “partito nuovo” (ostacoli necessari, a volte “creati a mo’ di test”, precisa Barca), nella piena “consapevolezza dell’ecosistema”. Barca, raccontato da Barca, è un ex ragazzo figlio dell’intellighenzia rossa che, dopo il liceo Mamiani e la Fgci, va a studiare Economia e Statistica in Italia e all’estero (con profitto), e lavora e fa altro (Banca d’Italia), fino a che “l’avventura operativa” non lo tenta. Ma non fino al punto da tentarlo davvero. Ne discendono consigli (non richiesti?) ai candidati sui “pilastri” che il nuovo partito, non votato al “cesarismo” dovrebbe avere. Partito “di sinistra”, specifica Barca. (Maddai?).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.