Cabaret Berlin, il voto tedesco visto con gli occhi della satira
“Life is a cabaret” canta Sally Bowles, alias una giovanissima Liza Minnelli nel film che Bob Fosse aveva tratto dal romanzo di Christopher Isherwood “Goodbye to Berlin”. Un’immagine che il cinema ha reso indelebile, ma il cabaret continua a essere in Germania, e in particolar modo nella sua capitale, una tradizione viva, un punto privilegiato e scanzonato di osservazione, uno strumento per capire come vanno le cose. In questo preciso momento, ovviamente, come va la politica e come andranno le elezioni di domani. Particolarmente utile, negli ultimi mesi, è stata la programmazione del cabaret Distel, a due passi dalla Friedrichstrasse, luogo cerniera tra le due Germanie di un tempo.
Lo Prete Sisifo a Berlino
Berlino. “Life is a cabaret” canta Sally Bowles, alias una giovanissima Liza Minnelli nel film che Bob Fosse aveva tratto dal romanzo di Christopher Isherwood “Goodbye to Berlin”. Un’immagine che il cinema ha reso indelebile, ma il cabaret continua a essere in Germania, e in particolar modo nella sua capitale, una tradizione viva, un punto privilegiato e scanzonato di osservazione, uno strumento per capire come vanno le cose. In questo preciso momento, ovviamente, come va la politica e come andranno le elezioni di domani. Particolarmente utile, negli ultimi mesi, è stata la programmazione del cabaret Distel, a due passi dalla Friedrichstrasse, luogo cerniera tra le due Germanie di un tempo. Da qui probabilmente anche la “specializzazione” politica del locale, e il particolare “ringraziamento” che il teatro manda ai suoi involontari suggeritori che siedono nelle centrali dei partiti o nel Bundestag, in occasione del suo 60esimo anniversario. Un grazie particolarissimo è arrivato dalla Friedrichstrasse ad Angela Merkel. Sarà anche noiosa, ma è stata lei la fonte di ispirazione di una folta schiera di cabarettisti, ai quali ha in questo modo dato anche da mangiare, oltre ad aver permesso a molti di questi piccoli teatri “off” di sopravvivere (nessuno, o quasi, di loro ha la possibilità di tirar su un po’ di fondi, come fa invece il Berliner Ensemble, che per esempio ha organizzato per oggi nel suo giardino/cortile un’asta di cimeli teatrali, con il regista Claus Peymann nei panni del banditore).
Merkel ha avuto un indiscusso effetto benefico sul cabaret e la satira. C’è dunque solo da augurarsi che la pièce “Die Kanzlerflüsterer” (“I suggeritori della Kanzlerin”) non abbia nulla di visionario. Che i whistleblower veri, non si ribellino un giorno, lasciandola “senza parole”. Grande attesa c’è anche per la ripresa di “Angies Sonntags-Salon” al Theather Kurfürstendamm. Il titolo si potrebbe tradurre con un “Tutti nel salotto di Angie ogni prima domenica del mese”. E di certo, il 2 ottobre, ne avrà di cose di cui chiacchierare “Angie”, cioè Christoph Jungmann, che da anni le fa il verso. Se la Kanzlerin apprezzi il cabaret, non è dato sapere. Di lei si conosce la passione per Bayreuth (Beatles giovanili a parte). E da poco anche quella per “La Leggenda di Paul e Paula”, un film prodotto nella Ddr. Quando, poco prima dell’estate, la Frankfurter Allgemeine l’aveva invitata a scegliere un film da vedere in un normalissimo cinema di Berlino insieme al pubblico pagante, lei aveva scelto proprio questa drammatica storia d’amore. Chissà, forse la scelta è stata anche strategica. Molto ci si è infatti interrogati su quel pacchetto di fazzolettini che Eva Christiansen, la sua consulente per i media, le aveva passato. Ma a proposito di lacrime: poco dopo anche il suo sfidante, Peer Steinbrück, piangeva in pubblico, dopo che la moglie l’aveva difeso dagli impietosi e ripetuti attacchi dei media. Pura coincidenza o intenzionalità, ma di certo erano più amare – e anche più sincere – le lacrime di Steinbrück. Tutti pensavano che dopo quell’episodio “cuore in mano”, Steinbrück si fosse definitivamente giocato la campagna elettorale, e invece, nei sondaggi lui e l’Spd hanno iniziato finalmente a registrare qualche consenso in più.
La volta in cui Merkel ha invece mostrato emozioni vere era stata la sera delle elezioni del 2005: quella sera avrebbe dovuto stravincere e invece aveva vinto solo per un soffio. Durante la “Elefantenrunde”, il talk-show televisivo che era cominciato subito dopo l’annuncio del risultato, era stata aggredita verbalmente dal rivale Gerhard Schröder, completamente sopra le righe a ogni buon conto, che le contestava la vittoria. Ad Angela Merkel quella volta mancarono realmente, e non solo metaforicamente, le parole. Le elezioni del 2005 sono state, se si vuole, il trauma (politico) originario di Merkel. Chissà, forse se le avesse vinte alla grande, come i sondaggi prospettavano, oggi ci sarebbe una Kanzlerin più “creativa” a guidare il paese.
Schröder, in quelle elezioni si era invece ben guardato dall’annunciare ulteriori sacrifici dopo quelli che aveva già imposto con le riforme dello stato sociale e del mercato del lavoro e che avevano portato alle elezioni anticipate. Nella tornata elettorale di domani sono stati invece proprio Spd e Verdi ad annunciare aumenti delle tasse. Dal 42 al 49 per cento, roba da lacrime e sangue, anche se entrambi i partiti sottolineano che l’aumento varrà solo per i redditi più alti, e che comunque si tratta di una questione di solidarietà: con il maggior gettito fiscale, si vorrebbe sgravare ulteriormente i ceti meno abbienti.
Le brutte gag del rosso Steinbrück
Verrebbe da chiedersi chi sia stato il whistleblower socialdemocratico che ha suggerito di inserire come punto di programma l’aumento delle tasse, visto che l’idea di ingrassare ulteriormente un fisco che in Germania già gode di ottima salute, non è stata di quelle propriamente votate al successo, stando ai sondaggi. Anzi, normalmente la minaccia di alzare le tasse ispira nel popolo tedesco, non particolarmente istrionico ma dotato di solida capacità comunicativa, l’esatto opposto: ad esempio, un gesto sul tipo di quello un po’ cabarettistico che s’è visto fare a Steinbrück sulla copertina del magazine della Süddeutsche Zeitung. Quel dito medio alzato, a dire il vero, voleva essere per l’appunto divertente. Era una risposta mimata (come prevede quel particolare format di intervista sul magazine della Sdz) alla domanda se non lo preoccupassero tutti i soprannomi che gli erano stati affibbiati nel corso della campagna elettorale – da “Peer il re delle gaffe”, a “Peer dei problemi” (e purtroppo non dei miracoli) per finire con il fantasmagorico “Peerlusconi”. E Steinbrück aveva risposto istintivamente con il gesto dell’ombrello, rafforzato per chi non avesse capito dal dito medio. Che lo avrebbero messo in croce per quel gesto, non pare averlo preoccupato più di tanto. Anche se aveva messo ovviamente in conto le critiche, puntualmente arrivate. I liberali l’hanno definito un gesto inqualificabile, che certo non si confà a chi aspira a diventare il cancelliere delle Repubblica federale tedesca, il paese economicamente e anche politicamente più importante del continente, mica una repubblica delle banane. Particolarmente velenoso era stato il giudizio della Frankfurter Allgemeine, che gli rinfacciava la sua uscita (infelice) sull’esito delle elezioni italiane: “Hanno vinto due clown”. Steinbrück avrebbe voluto condurre una campagna elettorale frizzante ed elettrizzante, se non proprio da palco del cabaret. E invece, vestito di panni per niente suoi, troppo rosso per i suoi gusti e le sue inclinazioni il programma, raramente ha convinto nella sua interpretazione.
Se il trauma di Merkel porta la data 2005, quello della Spd porta quella del 2009, con quel 23 per cento di voti, il peggior risultato nella storia del partito. Si disse che quel risultato era tutta colpa della Grosse Koalition, che aveva penalizzato la sinistra, che non si era imposta e non aveva messo sufficienti accenti socialdemocratici. Dimenticavano che di accenti ne avevano invece messi: era stato proprio il loro ministro del Lavoro, Franz Müntefering, a insistere sulla riforma delle pensioni da portare a 67 anni (Merkel, saggiamente, l’aveva lasciato fare). Certo, non si trattava di una riforma “tipicamente” socialdemocratica, andava piuttosto nella direzione dell’Agenda 2010, invisa ai più radicali del partito.
Un altro tema, non meno tabù di quello dell’aumento delle tasse, riguarda l’Europa, l’euro e la crisi. E visto che il tema è importante, ma nessuno ne vuole parlare, c’è un’altra pièce cabarettistica che se ne occupa. “Blonde Republik Deutschland - neu verfönt” (“La bionda Repubblica Tedesca - Fonata ex novo”), racconta di avvoltoi che si aggirano nei cieli d’Europa, in attesa che l’Ue fallisca definitivamente. Solo la Germania scoppia di salute. E così, una delegazione di membri dell’Ue decide di battere cassa a Berlino. Peccato che, una volta arrivati, ci si accorga che lì c’è solo molto fumo e poco arrosto.
Lo Prete Sisifo a Berlino
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