Pronti per New York
L'Iran mette anche la Siria tra le offerte di scambio con Obama
Alla vigilia del viaggio a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente iraniano Hassan Rohani tocca un’altra vetta della sua offensiva diplomatica charmant con un editoriale scritto per il Washington Post – dopo altri colpi a effetto come la liberazione di prigionieri politici, gli auguri pubblici per il nuovo anno ebraico e una breve prova tecnica di apertura a Facebook su internet (ora di nuovo vietato).
Alla vigilia del viaggio a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente iraniano Hassan Rohani tocca un’altra vetta della sua offensiva diplomatica charmant con un editoriale scritto per il Washington Post – dopo altri colpi a effetto come la liberazione di prigionieri politici, gli auguri pubblici per il nuovo anno ebraico e una breve prova tecnica di apertura a Facebook su internet (ora di nuovo vietato).
L’editoriale di Rohani è meno diretto di quello del presidente russo Putin pubblicato dal New York Times la settimana scorsa, ma il significato politico è decisamente più grande: chiede all’Amministrazione americana di “cogliere l’opportunità arrivata con le ultime elezioni in Iran” e sottolinea di avere “il mandato per un engagement”, anche se “prudente”. Il presidente iraniano la prende alla larga, ma il significato è chiaro: questa volta sono io a tendere la mano – Obama l’aveva fatto all’inizio del suo primo mandato –, è l’offerta negoziale più generosa che arriva da Teheran negli ultimi 30 anni, approfittatene, ho anche l’approvazione della Guida suprema, l’ayatollah Khamenei, che ha l’ultima parola su tutto (e che ha detto che questi sono tempi di “flessibilità eroica” in diplomazia). Khamenei ha anche chiesto alle Guardie della rivoluzione di fare un passo indietro dalla politica.
Rohani stabilisce un nesso decisivo tra la guerra civile in Siria – dove si offre di mediare tra le parti – e i negoziati internazionali sul programma nucleare iraniano. Il dossier siriano sale così di livello: non sarà più un pezzo di medio oriente che si consuma in una guerra complicata, diventerà la tessera di un gioco molto più ampio, dove contano anche le centrifughe atomiche, l’uranio arricchito, le visite degli ispettori delle Nazioni Unite. Teheran ha la capacità di fare l’impossibile, portare il presidente siriano Bashar el Assad al tavolo dei negoziati con l’opposizione armata, perché può agire su di lui con leve potentissime. Lo tiene in vita – e con lui anche l’establishment assadista – trasferendo a Damasco 500 milioni di dollari di finanziamenti al mese e aiuti militari enormi – tanto che ormai i ribelli dipingono il rais come un semplice sottoposto dei generali iraniani. Ieri per un momento è apparsa persino la notizia che il governo siriano ha chiesto un cessate il fuoco con i guerriglieri, come se volesse riportare in vita l’idea più volte morta di una seconda conferenza di pace a Ginevra – poi la notizia è stata smentita, ma resta l’impressione di maggiore malleabilità da parte siriana.
Gli iraniani sanno come farsi ascoltare. Anche loro, del resto, hanno fatto parte della soluzione diplomatica alla strage con armi chimiche nella periferia di Damasco del 21 agosto: non hanno trattato direttamente con gli americani, non avrebbero ovviamente potuto, lo hanno fatto i russi, ma hanno chiesto ad Assad di accettare la perdita del suo arsenale chimico – e lo hanno fatto molto in anticipo sulla proposta poi arrivata dal segretario di stato americano, John Kerry, come dimostra il viaggio fatto apposta da un inviato speciale iraniano al palazzo di Assad già alla fine di agosto.
In cambio Teheran si aspetta l’allentamento delle sanzioni internazionali. Le esportazioni di petrolio sono crollate. L’inflazione è in aumento. La valuta nazionale è collassata e la disoccupazione è alta. Il sistema bancario iraniano è stato tagliato fuori da quello internazionale. Un accordo rassicurante (e bisogna vedere se lo sarà anche per Israele) sul nucleare e un aiuto nella crisi siriana sono offerte interessanti.
Come nota Karim Sadjapour, del Carnegie Endowment for International Peace, non è per nulla chiaro se “l’apertura diplomatica dell’Iran è soltanto uno sfoggio di flessibilità tattica per alleviare la pressione economica e ridurre le sanzioni o se l’Iran sta davvero pensando di cambiare i suoi principi strategici a lungo termine”.
Israele è scettico. C’è molto spin, dice Michael Oren, ambasciatore israeliano uscente a Washington, ma c’è anche spin nelle centrifughe di Teheran che producono combustibile atomico. “Negano di avere negato l’Olocausto e dicono di voler negoziare, ma non stanno fermando l’arricchimento dell’uranio”. Washington è meno scettica: Obama al secondo mandato e l’arrivo di Rohani saranno condizioni difficili da replicare in futuro.
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