Netanyahu ha un piano, portare a Teheran il modello siriano
Non si parla più da giorni in Israele di batterie anti missile dispiegate alle porte delle città, di allerta lungo i confini, di riservisti richiamati nelle caserme, di code ai centri di distribuzione delle maschere antigas. Il nuovo corso diplomatico aperto il 14 settembre dall’accordo tra Stati Uniti e Russia ha smussato l’emergenza, allontanato la possibilità di un attacco americano contro la Siria e di ripercussioni in territorio israeliano. Bashar el Assad ha accettato un’intesa internazionale che prevede lo smantellamento del suo arsenale chimico e in queste ore scade l’ultimatum per la consegna di un inventario dettagliato dei depositi militari siriani.
Tel Aviv. Non si parla più da giorni in Israele di batterie anti missile dispiegate alle porte delle città, di allerta lungo i confini, di riservisti richiamati nelle caserme, di code ai centri di distribuzione delle maschere antigas. Il nuovo corso diplomatico aperto il 14 settembre dall’accordo tra Stati Uniti e Russia ha smussato l’emergenza, allontanato la possibilità di un attacco americano contro la Siria e di ripercussioni in territorio israeliano. Bashar el Assad ha accettato un’intesa internazionale che prevede lo smantellamento del suo arsenale chimico – ma davanti alle telecamere di Fox News mercoledì il rais ha ancora una volta negato di avere ordinato l’uso di gas – e in queste ore scade l’ultimatum per la consegna di un inventario dettagliato dei depositi militari siriani. Non è un caso che, dopo aver siglato l’accordo con i russi a Ginevra, il segretario di stato americano John Kerry sia volato in Israele. La firma non significa una capitolazione davanti a Teheran, è stato il messaggio dell’America all’alleato mediorientale. Quando il governo di Benjamin Netanyahu sente parlare di Siria, pensa infatti all’Iran, al suo programma atomico. “Il ragionamento prevalente per quanto riguarda l’accordo tra Stati Uniti e Russia… è che si tratti di uno sviluppo negativo, perfino un fallimento, per la strategia iraniana del primo ministro Netanyahu”, ha scritto su Haaretz l’analista Avi Shilon, che spiega come Israele, nei giorni in cui l’America cercava di prendere una decisione, sperasse in un attacco deterrente capace di inviare un segnale a Teheran.
Quando è arrivata la frenata di Obama, Israele ha temuto la creazione di un precedente: in caso di crisi nucleare con gli ayatollah, hanno scritto gli esperti in quei giorni, Israele potrà contare soltanto su un timido sostegno verbale da parte della comunità internazionale. “Un fallimento della diplomazia in Siria senza una risposta militare incoraggerà gli iraniani a galoppare verso l’acquisizione dell’arma nucleare e potrebbe perfino spingere Israele, suo malgrado, a lanciare un’operazione militare indipendente”, ha detto un alto funzionario anonimo del governo, ripreso dai mass media. L’imprevisto diplomatico ha però cambiato la situazione. In una telefonata avvenuta l’11 settembre, il premier Netanyahu avrebbe detto a Kerry che la proposta avanzata dai russi sullo smantellamento dell’arsenale chimico di Assad era seria: una specie di endorsement a porte chiuse del piano che, sempre nell’analisi di Avi Shilon, avrebbe una ragione molto chiara. “L’obiettivo strategico è quello di portare a termine in Iran quello che accadrà in Siria” e il progetto russo, se funzionasse, potrebbe fare più delle bombe.
La strategia israeliana negli ultimi tre anni è stata quella di portare Russia, Stati Uniti, Europa, Cina e i paesi arabi a realizzare la pericolosità del nucleare di Teheran, spiega al Foglio Eldad Pardo, professore all’Università ebraica di Gerusalemme ed esperto di Iran: “Un meccanismo sulla Siria che includa tutti questi paesi e porti allo smantellamento dell’arsenale chimico potrebbe essere usato come modello con l’Iran”. Netanyahu ha già un piano. Lo ha presentato all’inizio della settimana ai suoi ministri. L’offensiva diplomatica partirebbe da New York a fine mese. Il primo ministro israeliano incontrerà Barack Obama e poi, davanti all’Assemblea generale, presenterà il suo progetto in quattro punti: imporre all’Iran l’arresto dell’arricchimento dell’uranio, rimuovere l’uranio già arricchito, chiudere la centrale di Fordo e mettere fine alla produzione di plutonio. Le similitudini con il piano siriano non mancano.
La questione siriana è legata a doppio filo a Teheran, il potere regionale che sostiene, finanzia e in questi mesi aiuta militarmente attraverso le milizie sciite libanesi di Hezbollah il regime di Damasco nella sua guerra. Nonostante la sua ostilità verso l’Iran, Israele ha sempre dichiarato di non voler prendere posizione nel conflitto siriano. Nei mesi passati, però, sono stati i vertici dell’esercito israeliano a parlare per primi di armi chimiche usate da Assad – mettendo in imbarazzo ad aprile Obama e la sua red line – e le registrazioni delle comunicazioni tra ufficiali siriani intercettate dall’intelligence militare israeliana sarebbero state le prime prove concrete contro il regime. Soltanto questa settimana, però, per la prima volta un alto funzionario israeliano, l’ambasciatore negli Stati Uniti Michael Oren, ha rivelato che Israele “ha sempre voluto vedere l’uscita di scena di Assad. Abbiamo sempre preferito i cattivi non sostenuti dall’Iran rispetto ai cattivi appoggiati dall’Iran”. L’ufficio del primo ministro ha subito preso le distanze dall’ambasciatore, che è tra l’altro a fine mandato. Le sue parole sono state però in parte consolidate dal generale Yair Golan, comandante del settore nord, al confine con la Siria: “Il jihad globale è un brutto nemico, ma è un nemico relativamente più primitivo e non gode dell’appoggio di poteri regionali”, ha detto mercoledì al quotidiano Yedioth Ahronoth.
“Cosa accadrà al regime siriano non è affar nostro – spiega al Foglio Shlomo Aronson, esperto di questioni iraniane – e le dichiarazioni di un ambasciatore a fine mandato e di un generale, non un politico, non cambiano nulla. Quello che conta è che anche l’Iran guarda all’accordo siriano come possibile modello. Sarebbe interessante capire ora se qualcosa è cambiato nel cuore dell’ayatollah Ali Khamenei: il presidente Hassan Rohani è un semplice esecutore”. Da giorni, i giornali di tutto il mondo parlano delle inedite lettere scambiate tra il neo presidente iraniano e Barack Obama. Il leader americano avrebbe scritto che gli Stati Uniti sono pronti a risolvere la disputa nucleare con gli ayatollah, ha fatto sapere la Casa Bianca mercoledì. Il tedesco Spiegel ha rivelato che Rohani avrebbe persino pensato di chiudere l’installazione per l’arricchimento dell’uranio di Fordo, in cambio della fine delle sanzioni internazionali. “Non svilupperemo mai armi nucleari”, ha detto il leader in un’intervista all’americana Nbc mercoledì. In Israele risuonano di più le parole dell’unica voce che può trasformare il corso della politica di Teheran, la Guida suprema Ali Khamenei che, a proposito dei negoziati sul nucleare, ha detto che “è arrivato il tempo per una eroica flessibilità”. Per ora, i politici israeliani restano scettici.
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