La settimana del Cav. prigioniero libero e degli altri, prigionieri e basta

Mario Sechi

E’ stata la settimana del decadentismo. Tutti a interrogarsi su quel che avrebbe fatto prima e cosa sarebbe successo dopo la decadenza. Tutti a chiedersi quali sfracelli eversivi sarebbero emersi dal videomessaggio. Tutti a compulsare il diritto e tastarsi il rovescio. Poi, all’improvviso, è successo quel che qui si pronosticava senza saper leggere i fondi di caffè: niente. Berlusconi farà il prigioniero libero (copyright dell’Elefantino) e gli altri continueranno a essere prigionieri e basta. D’altronde, il dibattito è apparso ben avviato all’esito da copione fin da sabato, quando a Matteo Renzi finalmente appare una semplice idea politica.

    E’ stata la settimana del decadentismo. Tutti a interrogarsi su quel che avrebbe fatto prima e cosa sarebbe successo dopo la decadenza. Tutti a chiedersi quali sfracelli eversivi sarebbero emersi dal videomessaggio. Tutti a compulsare il diritto e tastarsi il rovescio. Poi, all’improvviso, è successo quel che qui si pronosticava senza saper leggere i fondi di caffè: niente. Berlusconi farà il prigioniero libero (copyright dell’Elefantino) e gli altri continueranno a essere prigionieri e basta. D’altronde, il dibattito è apparso ben avviato all’esito da copione fin da sabato, quando a Matteo Renzi finalmente appare una semplice idea politica e chiosa la giornata così: “Al Pdl il governo conviene, non cadrà” (dalla festa del Pd di Torino, ore 19 e 33). L’ovvietà è giunta dopo un grande dibattito sull’idea di cambiare – ad personam – il regolamento del Senato sul voto segreto in giunta, discussione che ha toccato il picco massimo con l’esternazione ortofrutticola di Beppe Grillo: “Preparate le verdure per celebrare l’ultimo atto della rappresentazione” (cronache dalla realtà virtuale, domenica 15 settembre, ore 15 e 46).

    Passato il weekend, il lunedì s’apre un appassionante dibattito cantieristico con Fabrizio Cicchitto che spiega la metamorfosi renziana “da rottamatore ad asfaltista”, Renato Brunetta che illustra “la road map dell’Asfaltatore” (chiaramente contro Enrico Letta), Annamaria Bernini che vede Matteo alla guida di “una gioiosa ruspa da guerra” e Francesco Nitto Palma che lo definisce “un operaio dell’Anas”. In Transatlantico s’apre un dibattito sulla qualità dei ghost writer dei politici (“non sono più quelli d’una volta”) ma poi si capisce che in realtà il registro da strada statale ha la sua efficacia quando il senatore democratico Andrea Marcucci lascia Casini in corsia d’emergenza con un eloquente “non si intende di asfaltature”.

    Enrico Letta alza gli occhi al cielo e si affida al meteorologicamente corretto: “Io e Napolitano non possiamo essere l’unico parafulmine”. Alle ore 21 e 36 registro sul taccuino la conferma della catalessi elettorale di Pier Luigi Bersani che afferma “un po’ il giaguaro lo abbiamo smacchiato”, e vado a dormire. Sveglia, caffè, giornali, televideo, sta per arrivare il nuovo sistema operativo iOS7 per l’iPhone, l’Inter sta per essere ceduta agli indonesiani e pure i Moratti sono “spompi”. E’ martedì e il taccuino del cronista è in panne, ma per fortuna le agenzie di stampa informano che “cresce l’attesa per il videomessaggio” e allora vai con il dibattito sulla cassetta del Cav.
    Nichi Vendola prevede che “sarà un riassunto delle puntate precedenti”, Brunetta annuncia che “sarà un grande evento”. Mentre Berlusconi gioca tra tasto play e rewind, nel Pdl succede un po’ di tutto: ennesima lite tra falchi e colombe, apertura del caso scissionista siciliano. Alfano dice qualcosa. Ma il Cav. procede con la strategia consolidata da un ventennio: se ne infischia. Ci sono cose più importanti: il videomessaggio slitta a mercoledì. Panico in sala stampa: “E adesso cosa scriviamo?”. Calma, è chiaro che c’è sotto qualcosa, forse il lodo Buemi, una trattativa segreta con il Pd e Napolitano… Alt! Ecco la spiegazione, era martedì 17 e quel numero non porta bene. E poi, che fai, il videomessaggio quando la Cassazione ha confermato che devi scucire mezzo miliardo di euro di risarcimento a Carlo De Benedetti? La guerra di Segrate si chiude qui, ma quella di Silvio contro tutti va avanti.
    Alle ore 18 del 18 settembre 2013 (evento cabalisticamente berlusconiano) il Cavaliere torna in sella e affronta la madre di tutte le battaglie. Videomessaggio per dire che c’è e ci sarà. Decaduto un piffero, un leader non ha bisogno del seggio, cribbio. Il Pd vent’anni dopo ci casca ancora alla grande. Il segretario Epifani evoca nientemeno che la “Guerra fredda”, c’è chi grida la parola “eversione” e vuol chiamare i carabinieri, la senatrice Pezzopane accusa Silvio di essere “stalker del governo”. Missione compiuta. Non si parla d’altro. Neppure della non trascurabile decisione della giunta per le immunità del Senato che alle dieci della sera respinge la relazione di Andrea Augello e, di fatto, ha già deciso sulla decadenza di Berlusconi dal Senato. Le prime pagine di giovedì (19 settembre) confermano che il Cav. è già oltre l’ostacolo e gli avversari di sempre inchiodati al 1994. Repubblica l’azzecca come sempre a metà: “Resto il leader anche se decado”.

    Il Corriere della Sera coglie bene la seconda parte del testo e controtesto: “Berlusconi attacca ma salva il governo”. E’ cominciato un altro giro di mano, le carte continua a darle lui. Berlusconi va nella nuova sede di Forza Italia e conferma la linea del decaduto di cui non si potrà fare a meno. Eccolo indossare il doppiopetto governativo mentre fa il reload della sua creatura originaria: “Una crisi ora sarebbe destabilizzante. La stabilità è un bene” (dalla nuova sede di Forza Italia, ore 17 e 58). E’ proprio il giorno di san Gennaro, Enrico Letta tira un sospirone e gonfia i muscoli d’orgoglio alla Nutella: “Io non sono Jo Condor”. Tutti a nanna dopo Carosello. Il venerdì è dolce e soleggiato, il decaduto è sempre al suo posto, il Viminale manda altri 200 militari in Val di Susa, il Consiglio dei ministri vara la nota d’aggiornamento del Def e fa sapere di averla “scritta in piena autonomia”. Sì, certo, il pil è a meno 1,7 per cento e siamo un filo sopra il tetto del 3 per cento, ma non preoccupatevi, il commissario europeo Olli Rehn è tornato a casa, nel quarto trimestre la produzione tornerà positiva e l’anno prossimo il pil sarà dell’uno per cento. E poi, Napolitano ha invitato alla sobrietà e tra poco, con la ripresa, nel paese si aprirà un grande dibattito invernale: il cappotto è di destra e il loden è di sinistra?