In Sicilia ogni giorno ha il suo Crocetta. Inconcludente con o senza Pd
Il Pd non lo sostiene più, i suoi assessori targati Pd sono stati scomunicati dal Pd (se non vi dimettete siete fuori, è il concetto) e lui, Rosario Crocetta, governatore siciliano ed ex miracolo annunciato, un po’ si risente (“non sono il pupo di nessuno”, ha detto nel giorno dell’anatema del segretario locale pd Giuseppe Lupo) e un po’ drammatizza (“se c’è qualcuno che mi può domare è il popolo siciliano”). Doveva essere la rivoluzione incarnata, Crocetta, l’avamposto della svolta, il modello ultimo dell’avanguardia progressista, da esportare con grancassa politically correct.
Il Pd non lo sostiene più, i suoi assessori targati Pd sono stati scomunicati dal Pd (se non vi dimettete siete fuori, è il concetto) e lui, Rosario Crocetta, governatore siciliano ed ex miracolo annunciato, un po’ si risente (“non sono il pupo di nessuno”, ha detto nel giorno dell’anatema del segretario locale pd Giuseppe Lupo) e un po’ drammatizza (“se c’è qualcuno che mi può domare è il popolo siciliano”). Doveva essere la rivoluzione incarnata, Crocetta, l’avamposto della svolta, il modello ultimo dell’avanguardia progressista, da esportare con grancassa politically correct. Doveva essere in marcia verso l’empireo dei giusti, Crocetta, governatore e leader del Megafono (il suo movimento), “volto giusto”, appunto, arrivato al potere con il sostegno del Pd e con il tic da Stranamore della conferenza stampa a sorpresa – “e improvvisamente ‘zac!’, ecco che parte la conferenza stampa, ecco che Crocetta ne convoca una per qualsiasi cosa, anche per smentire quella precedente”, raccontano a Palermo, dove ancora ricordano il caso del Muos, sistema di comunicazione satellitare americano prima osteggiato da Crocetta, con tutti i grillini e i comitati del “no” al seguito, e poi non più ostacolato da Crocetta, complice l’arrivo dell’ambasciatore Usa, con tutti i grillini e i comitati del “no” contro.
Doveva essere il paradiso, la giunta Crocetta, eden delle alleanze possibili mentre sul continente si scatenava l’inferno post elezioni di febbraio, ma è finita a scatafascio. Non solo già in primavera si arenava la mezza convivenza tra Crocetta e l’M5s locale di Giancarlo Cancelleri, il capogruppo grillino che ora minaccia di “anticipare” una mozione di sfiducia. Non solo Crocetta ha fiaccato anche i fan, a forza di dietrofront e dichiarazioni bifronti, un po’ onnipotente (la rivoluzione c’est moi) e un po’ povero perseguitato (dal partito che vuole fare gioco “di poltrone”, dalla criminalità che lo vuole “far saltare”, dagli americani che se la sono legata al dito).
Non solo. C’è anche che Crocetta, ora intenzionato a procedere “atto per atto” (con la fiacca opposizione pdl che gongola), ha fatto la restaurazione, più che la rivoluzione: attraverso il Megafono e la sua candidatura hanno cambiato pelle e posizione, per restare sempre molto vicini alla cabina di regia (e in alcuni casi all’interno della cabina di regia), i plenipotenziari di ieri (da alcuni settori della Confindustria Sicilia al volto dell’Antimafia gauchiste in servizio permanente effettivo Giuseppe Lumia, precedente deus ex machina del governo Lombardo e senatore pd che ora critica il Pd per l’abbandono del Crocetta dei miracoli). “Immobilismo mobile siciliano”, dicono i palermitani che ne hanno viste tante. “La politica non parla il linguaggio del cuore”, dice lui, Crocetta, già defenestratore di assessori che parlavano con la pancia (Franco Battiato e Antonino Zichichi) nonché riciclatore di ex pm reduci da flop politici (Antonio Ingroia, appena nominato commissario liquidatore di Sicilia e-Servizi per scelta crocettiana). “Non mi faccio condizionare”, dice Crocetta nel giorno buio della fiducia tolta (anche se i renziani locali vogliono la “road map” comune). Ma il sogno è svanito: Crocetta resta con i classici quattro gatti e in crisi di consenso per la sua politica di annunci&denunce (e basta). Tanto che in molti, a Palermo, hanno visto vaghi riferimenti al suo stile nelle parole del procuratore aggiunto Leonardo Agueci (“a volte ci si sente a posto mandando le carte in procura… a volte può essere un alibi per forme di poca efficienza e irresponsabilità”). Non ci sono riferimenti precisi, ha detto poi il procuratore, e però la città aveva già fatto due più due.
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