Un Castello per due

Quel che resta del Pdl tra sospetti, bad company e quattrini indispensabili

Salvatore Merlo

Glielo hanno ripetuto, anche ieri, “non possiamo spegnere il Pdl, ci serve il finanziamento pubblico”. E allora il Cavaliere, abituato agli smembramenti aziendali, l’ha fatta semplice, lì per lì ha tracciato una lunga linea retta su un foglio di carta, “qui c’è Forza Italia, e qui il Pdl”. E dunque, come Mosè, Silvio Berlusconi ha separato le acque del suo agitato centrodestra in due perfette metà, Forza Italia a sinistra, il Pdl a destra, due rive dello stesso mare, due partiti per un po’ destinati a convivere nella confusione dei tempi, forse anche due gruppi parlamentari distinti, ma chissà, fianco a fianco.

    Glielo hanno ripetuto, anche ieri, “non possiamo spegnere il Pdl, ci serve il finanziamento pubblico”. E allora il Cavaliere, abituato agli smembramenti aziendali, l’ha fatta semplice, lì per lì ha tracciato una lunga linea retta su un foglio di carta, “qui c’è Forza Italia, e qui il Pdl”. E dunque, come Mosè, Silvio Berlusconi ha separato le acque del suo agitato centrodestra in due perfette metà, Forza Italia a sinistra, il Pdl a destra, due rive dello stesso mare, due partiti per un po’ destinati a convivere nella confusione dei tempi, forse anche due gruppi parlamentari distinti, ma chissà, fianco a fianco, consanguinei nello stesso Parlamento, con lo stesso capo, che poi è sempre lui, il sovrano di Arcore, costretto da alcuni giorni in una condizione teatrale, tra vanagloria e spavento, tra un’invenzione di marketing elettorale (Forza Italia) e il non lontano spettro d’un provvedimento restrittivo che, sussurrano i suoi avvocati, potrebbe arrivare dalla procura di Milano, e ancora prima che la giunta per le elezioni sia chiamata a votare la sua espulsione dal Senato.

    E certo è ancora tutto dubbio, indeterminato, il centrodestra è da tempo l’isola della nebbia per i suoi stessi abitanti, il ceto politico e parlamentare che ancora non sa se essere il partito dei falchi o quello delle colombe, di Daniela Santanchè o di Angelino Alfano; un giorno è la Pitonessa a trionfare, l’altro sono invece i modi felpati e sinuosi del ministro siciliano – ieri al Quirinale – a spuntarla. E poi c’è Marina Berlusconi, che segue il padre come un’ombra, anche a Palazzo Grazioli. “Ma il Pdl è iscritto al Ppe, Forza Italia no. Il Pdl ha i fondi pubblici, Forza Italia no”, dicono gli architetti di quell’arabesco tributario e politico che da giorni impegna lo stato maggiore del Castello: non si può chiudere il Pdl d’emblée. E allora, “il nuovo gruppo parlamentare si chiamerà Pdl-FI”, dicono; “no dobbiamo invece fare due gruppi, nel Pdl rimangono quelli che non saranno ricandidati”. E sono giorni d’ebrezza fumosa. Nel dubbio tutti si protendono verso Berlusconi come a una tribuna o pulpito donde una verità sta per discendere, un germe di salvezza che sempre, tuttavia, tarda ad arrivare. Sabato riunisce i gruppi parlamentari.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.