Lumpenkapitalismus

Ugo Bertone

All'indomani dell'ascesa di Telefonica nella holding di controllo di Telecom, Telco, il presidente del Consiglio Enrico Letta ha assicurato che il governo sarà attento e vigile per “non perdere un aspetto strategico” dell'operazione qual è la rete telefonica. Non è solo un asset dal valore economico miliardario, c'è anche un valore politico: perderlo porrebbe “seri problemi di sicurezza nazionale”, ha detto ieri anche il presidente della commissione parlamentare di Controllo sui servizi segreti, Giacomo Stucchi. Questi due segnali d'allerta sono seguiti all'audizione mattutina di Franco Bernabè davanti ai presidenti delle commissioni Industria e Comunicazioni, Massimo Mucchetti e Altero Matteoli, in Senato.

    All’indomani dell’ascesa di Telefonica nella holding di controllo di Telecom, Telco, il presidente del Consiglio Enrico Letta ha assicurato che il governo sarà attento e vigile per “non perdere un aspetto strategico” dell’operazione qual è la rete telefonica. Non è solo un asset dal valore economico miliardario, c’è anche un valore politico: perderlo porrebbe “seri problemi di sicurezza nazionale”, ha detto ieri anche il presidente della commissione parlamentare di Controllo sui servizi segreti, Giacomo Stucchi. Questi due segnali d’allerta sono seguiti all’audizione mattutina di Franco Bernabè davanti ai presidenti delle commissioni Industria e Comunicazioni, Massimo Mucchetti e Altero Matteoli, in Senato. Bernabè ha sfogato tutta la sua contrarietà per l’operazione che porterà Telefonica al controllo di Telco (ma non necessariamente di Telecom Italia): “Nessuno ci ha avvertito, lo avessero fatto sarebbe stato meglio”. “Abbiamo avuto conoscenza ieri dalla lettura dei comunicati stampa – ha sillabato con sarcasmo – della recente modifica dell’accordo parasociale tra gli azionisti di Telco. Telefonica diventerà azionista di riferimento di una società che resterà quotata con circa l’85 per cento del capitale sul mercato, comprese le azioni risparmio”. Cosa accadrà se in Telecom Italia si comincerà a parlare spagnolo, lingua che il manager di Vipiteno ostenta di non conoscere? Sarebbe inevitabile “la vendita di Brasile e Argentina che determinerebbe un forte ridimensionamento del profilo internazionale del gruppo e delle sue prospettive di crescita, e comunque potrebbe non essere realizzabile in tempi brevi, compatibili con la necessità di evitare il rischio di un downgrade”. Ma esiste un’alternativa cui i soci italiani di Telco (Generali e Mediobanca, e la tentennante Intesa) non hanno prestato ascolto: l’aumento di capitale, preferibile “anche perché sul mercato ci sono le condizioni e c’è una straordinaria liquidità”, insiste il presidente. Il progetto si è scontrato con gli interessi di “una minoranza di blocco in cda”, ha detto. Insomma, è stata una chiamata alle armi del sistema Italia, probabilmente tardiva, che ieri ha contribuito ad affossare il titolo Telecom (sospeso per eccesso di ribasso) con chiusura a meno 4,6 per cento (a 0,5 euro).

    Eppure il 2 agosto scorso, davanti agli analisti, Bernabè non era così allarmista. Alla domanda sulla necessità di ricapitalizzare rispose: “Prefigurare qualsiasi scenario catastrofico è completamente fuori ambito”. E circa l’impatto che potrebbe avere la retrocessione del rating? “Non sarebbe significativo, circa 11 milioni di euro” più “l’incremento di costi connesso alla gestione del portafoglio di derivati di copertura”. Cinquanta giorni dopo, il tono è cambiato: o l’aumento (cui hanno detto no le Generali) o la cessione dei “gioielli” Brasile e Argentina nemmeno sufficienti, dati i tempi necessari, a evitare il downgrade. La difesa di Tim Brasil, insomma, è irrinunciabile come quella di Stalingrado per Stalin. In questi anni di margini decrescenti e di oneri in salita sotto il peso della crisi e della concorrenza, Bernabè non ha mai preso in considerazione una ritirata dal Brasile, la carta che, per motivi di Antitrust, impediva un blitz di Telefonica, già presente sul mercato carioca con Vivo.

    Golden share per Tlc (solo ora) in arrivo
    A Lisbona, il suo collega Henrique Granadeiro, capo di Portugal Telecom (Pt), in questi anni ha adottato una strategia flessibile, fatta di ritirate e controffensive, più aderente alla filosofia di Sun Tzu, così cara a Bernabè. Alcune analogie sono impressionanti: fino al 2010, la Telefonica di César Alierta controllava il 10 per cento dell’ex incumbent lusitano, quota di maggioranza relativa. Anche in quel caso, l’oggetto del desiderio di Telefonica era più la controllata brasiliana, Vivo, che non la gestione del business portoghese. Molti dei problemi che hanno accompagnato il Bernabè bis si sono presentati a Granadeiro. Ma la soluzione è stata diversa: prima un durissimo negoziato e un primo stop del governo che aveva usato la golden share per bloccare l’operazione, la stessa golden share di cui in Italia mancano ancora i decreti attuativi per il settore Tlc ma su cui il governo sta ora lavorando. Poi Pt ha ceduto nel 2010 il controllo di Vivo a Telefonica per 7,5 miliardi. In cambio, Alierta, per poter chiudere l’operazione, si era rassegnato a vendere la sua partecipazione nella società portoghese. Ma con la metà dei soldi incassati da Alierta, Granadeiro ha comprato il 22 per cento di un’altra telecom brasiliana, la Oi, il quarto gestore del paese che potrebbe salire al terzo posto in caso di spezzatino di Tim Brasil. Quest’anno l’ha conquistata, acquisendo una quota del 25 per cento della società. A giugno Granadeiro, il “Mourinho delle tlc”, ha coronato la sua rincorsa abbinando alla guida di Pt la presidenza di Oi. Insomma, concentrare gli sforzi nella difesa del mercato domestico, eliminare partner scomodi e poi ripartire per crescere ha pagato di più della difesa del baluardo d’oltreoceano.