Perché tra Renzi e Letta io preferisco Balotelli, potenza fuori controllo
Per sbagliare ha sbagliato. Ma visto lo spettacolo noioso che dà di sé il controllo senza potenza, per dire la guerricciola tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, non si può non riconoscere che la potenza fuori controllo di Mario Balotelli ha una sua grandezza liberatoria. Domenica sera eravamo in cinque davanti al televisore e l’esplosione di follia, l’abbiamo sentita, accompagnata, pensavamo addirittura che il nervosismo e la frustrazione per aver sbagliato il calcio di rigore lo spingessero a un fallo di reazione di troppo e a un’immediata espulsione. Invece ha retto fino alla fine, cosa che è un innegabile passo avanti nella maturazione dell’uomo.
Per sbagliare ha sbagliato. Ma visto lo spettacolo noioso che dà di sé il controllo senza potenza, per dire la guerricciola tra Matteo Renzi ed Enrico Letta, non si può non riconoscere che la potenza fuori controllo di Mario Balotelli ha una sua grandezza liberatoria. Domenica sera eravamo in cinque davanti al televisore e l’esplosione di follia, l’abbiamo sentita, accompagnata, pensavamo addirittura che il nervosismo e la frustrazione per aver sbagliato il calcio di rigore lo spingessero a un fallo di reazione di troppo e a un’immediata espulsione. Invece ha retto fino alla fine, cosa che è un innegabile passo avanti nella maturazione dell’uomo. Ha aspettato novantaquattro minuti per dire “te la faccio pagare, ti ammazzo” a un arbitro lindo e pitto che ha lasciato correre ogni sorta di colpo inferto alle sue gambe, e si sa che le randellate contro di lui non sono normali, sono più dure di quelle un tempo riservate a Totti perché chi lo contrasta pensa di avere di fronte un tronco di quercia. Allora chi non ha mai avuto simpatia per arbitri imbevuti di sé che non sanno parlare con i calciatori né durante né dopo la partita, che si permettono di non dare spiegazioni a nessuno se non ai propri consimili, arbitri autoreferenziali come magistrati, non può non tifare per Mario Balotelli, lo scellerato. E non rimanere sorpreso da chi lo bacchetta, lo tiene dietro la lavagna, le vergini cadute dal pero, il coro di benpensanti che inarcano il sopracciglio e agitano il ditino perché queste cose magari si pensano ma non si dicono e non si fanno, e se invece le fai sei un immaturo, uno che con la testa ci sta e non ci sta. Balotelli non mostra magliette con su scritto “I belong to Jesus”, non alza le braccia al cielo come i tanti soldati di Cristo in circolazione sui campi di calcio. Mostra muscoli e torace per il piacere di esibire corpo e bellezza, esulta a braccia larghe e a guardia bassa, quasi a voler stritolare un mondo che forse non ama ma sicuramente non teme, perché ha un fisico che fa paura e contiene una rabbia che di paura ne fa altrettanta: nel bene e nel male è un’ira di dio. Per questo è un’icona mondiale e non uno dei tanti bistecconi, magari un po’ più sexy perché nero. Ovunque lo sanno capace di tutto. Vestiva ancora la maglia azzurra del City di Manchester quando segnò il gol decisivo in una partita contro il Tottenham, poi con la stessa naturalezza si mise a passeggiare sulle gambe e sulla testa di Scott Parker che da terra cercava lo stesso di rifilargli un calcione. Chiesero un giorno a Mourinho se credeva possibile una sua maturazione: sorrise come Sarkozy e la Merkel quando gli chiesero dell’affidabilità di Berlusconi. Roberto Mancini, l’altro che l’ha allenato, è finito a pezzi: ha detto che dopo tante parole inutili decise di chiamare uno psicologo. Per se stesso, però.
Per questo il contorno è più indigeribile della pietanza. Il Milan che rinuncia a presentare ricorso per dare una lezione di stile e lanciare un segnale inequivocabile di distensione agli arbitri è come Il Cav. che si dimette prima del voto della giunta del Senato. Allegri, che se la prende con il ragazzo “che deve ancora crescere”, se lo porta dietro maturando com’è, ad Amsterdam, martedì, nella delicata trasferta di Champion’s League. Se società e staff volevano davvero fare il bel gesto, potevano punirlo lasciandolo a casa. Ce lo lascia Cesare Prandelli, il ct che s’è inventato il codice etico per i giocatori della Nazionale: guarda caso però le due ultime partite di qualificazione al Mondiale 2014 sono una formalità, un allenamento, gli azzurri sono in testa al girone e irraggiungibili. E’ comoda la morale quando si può fare a meno del reprobo.
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