Se non è un bluff

Così Letta e Napolitano si preparano a spegnere i fuochi di fine Cav.

Salvatore Merlo

La telefonata è stata curva e prudente, come sempre nei rapporti di promiscua distanza tra questo presidente della Repubblica e il capo del suo governo. Enrico Letta ha parlato, riferito dei suoi colloqui, ha ascoltato molto, e oggi alle 12 sarà già all'aeroporto di Ciampino, di ritorno dagli Stati Uniti, di nuovo a Roma, pronto a prendere la via del Quirinale.

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    La telefonata è stata curva e prudente, come sempre nei rapporti di promiscua distanza tra questo presidente della Repubblica e il capo del suo governo. Enrico Letta ha parlato, riferito dei suoi colloqui, ha ascoltato molto, e oggi alle 12 sarà già all’aeroporto di Ciampino, di ritorno dagli Stati Uniti, di nuovo a Roma, pronto a prendere la via del Quirinale. Mentre Giorgio Napolitano, chiuso nello studio presidenziale, prima di abbandonare la cornetta sul ricevitore, e dopo aver cercato per un giorno intero, senza requie, ogni plausibile via d’uscita, ieri al telefono ha confermato al presidente del Consiglio la sua diagnosi sul parapiglia preoccupante che, scatenato dal Castello di Arcore, adesso agita i palazzi romani, “non ho ben capito cosa vogliono fare nel Pdl, ma esiste un protocollo parlamentare per le crisi di governo. E intendo rispettarlo”. Dunque Letta e Napolitano parlamentarizzeranno la crisi, anticiperanno le mosse di Silvio Berlusconi, che ha deciso di dare corpo e suono al museo d’ombre che da settimane si porta dentro la testa, e dunque si vedranno oggi al Quirinale per gli ultimi ritocchi: il presidente del Consiglio potrebbe chiedere la fiducia, prima del voto con il quale il Senato dovrebbe espellere Berlusconi dal Parlamento, prima che il Pdl porti alle dimissioni, come promesso, tutti i suoi parlamentari. Ed è un gomitolo di minacce che si attorcigliano.

    Il Cavaliere non recede dai propositi bellicosi, almeno in apparenza, vorrebbe ridiscutere l’inesorabilità della legge Severino e rinviare il suo dossier alla Consulta. E intanto i suoi capigruppo raccolgono le firme di deputati e senatori, sono le lettere di dimissioni. “Alla crisi non c’è alternativa, Berlusconi va in galera”, esplode Daniela Santanchè, anima della durissima svolta. Ma nel Pdl gli umori sono incerti, diffuso lo scetticismo, “siamo una carena di bastimento incagliata”, dice, non senza ilare fatalismo, un senatore un tempo molto inserito nei meccanismi complessi e tortuosi della corte berlusconiana. E si riferisce alle conseguenze per lui infauste d’una crisi che “ci porta alla débâcle elettorale”. Gaetano Quagliariello, il ministro, forse non si dimetterà.

    I colloqui di Napolitano con gli uomini del Castello, per tutto il giorno, sono stati un rullo di sceneggiatura, senza sbavature nell’imprevisto, stesso tono, stesse risposte, stessi sospiri con Alfano, con Brunetta e Schifani, “che fate? Spiegatemi dove volete arrivare”. Tutti all’attacco, tutti falchi, annullata ogni sfumatura. E così, malgrado Napolitano in qualche piega della mente sospetti sempre il bluff, malgrado ciò il presidente s’è risolto a una dichiarazione pubblica, d’allarme, “ieri sera è avvenuto un fatto politico improvviso e istituzionalmente inquietante, a cui dedicare la mia attenzione”, ha detto, “evocare il golpe è grave”. E così pure Letta, “queste turbolenze sono state un’umiliazione per l’Italia, mentre io parlavo all’Onu”. Fosse una partita di poker, quello dei due presidenti equivarrebbe a un “vedo”. Ci sarà un voto di fiducia, forse, e il Pdl, sussurrano con una punta di compiacimento i falchi, come Denis Verdini, voterà contro il governo. Letta sfiduciato, poi consultazioni, forse un reincarico allo stesso Letta per la formazione d’un nuovo governo, con una nuova, fragilissima, maggioranza. E nel frattempo, ammesso che tutto s’incastri come vuole Napolitano, che succede? “Nel frattempo tutto sa e parla di sfacelo”, dice al Foglio un ministro del Pdl, “Berlusconi sarà fuori dal Parlamento, anche con la crisi di governo. E noi rischiamo che ci facciano la riforma della legge elettorale, consegnandoci a una spaventosa sconfitta nelle urne”. Germogliano così, di fronte a queste ombre, anche sotterranee e sfibrate speranze di ricomposizione. Ma Brunetta dice di no, “andiamo avanti”. Galera per galera, tanto vale lottare, prima di morire, pensa il Cavaliere. E il gioco a tombola della sua vita oscilla ancora fra azzardi e incastri senza numero.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.