
Del divagare
“Come se una metà di me stesse lì a guardare l'altra metà che dorme, e si capisce che questo non è proprio un sonno ristoratore”. E' l'insonnia di Giuseppe Berto, vincitore di Viareggio e Campiello nel 1964 con “Il male oscuro”. Una delle insonnie: l'altra colpisce alle quattro e mezza del mattino, quando i pensieri, fino a un attimo prima innocui e raggomitolati, ne approfittano per azzannare. In materia, Antonio Pascale rispolvera la formazione scientifica che lo fece accapigliare con Pietro Citati. Oggetto del contendere, i pomodori che come “le neiges d'antan” di François Villon non avrebbero più il buon sapore dell'infanzia felicemente priva di Ogm.
“Come se una metà di me stesse lì a guardare l’altra metà che dorme, e si capisce che questo non è proprio un sonno ristoratore”. E’ l’insonnia di Giuseppe Berto, vincitore di Viareggio e Campiello nel 1964 con “Il male oscuro”. Una delle insonnie: l’altra colpisce alle quattro e mezza del mattino, quando i pensieri, fino a un attimo prima innocui e raggomitolati, ne approfittano per azzannare. In materia, Antonio Pascale rispolvera la formazione scientifica che lo fece accapigliare con Pietro Citati. Oggetto del contendere, i pomodori che come “le neiges d’antan” di François Villon non avrebbero più il buon sapore dell’infanzia felicemente priva di Ogm. “I pensieri salgono tutti a galla, hanno lo stesso volume, dunque galleggiano con spinta uguale”.
Parla di insonnia e di cattivi pensieri in una manciata di pagine in “Le attenuanti sentimentali”, appena uscito da Einaudi. Divagazione, in un libro che sulle divagazioni è costruito. Con un po’ di resistenza da parte dello scrittore, che finge di voler scrivere un romanzo e di arrancare nel tentativo. In fondo, che ci vuole a trovare una trama?, insistono gli amici italiani, suggerendo intrecci da soap: il personaggio ha un tumore, gli danno sei mesi di vita, allora fa un bilancio, salda i conti, racconta piccole cose quotidiane e via così, fino a esaurimento del lettore.
Fai autofiction, che è tanto di moda, incalza l’amica francese. Vige infatti la regola secondo cui nessuno si improvviserebbe meccanico o ballerino sulle punte, ma tutti hanno qualcosa da dire su come si scrive un libro. Antonio Pascale nicchia ancora, e resta fedele alle sue divagazioni. Per fortuna: in caso contrario ci saremmo persi certe meravigliose chiacchierate sull’educazione sentimentale del maschio venuto dal sud, sulla femmina che corteggia “un bravissimo fotografo, spiega le gradazioni del grigio” (segue casto bacetto, e la ragazza perde la calma), sui tradimenti che non sono tali se consumati a un certo numero di chilometri da casa, sulle recite scolastiche, sulla pornografia, sui primi amori e prime constatazioni dell’insanabile differenza tra i sessi. “Non hai insistito abbastanza”, rivela fuori tempo massimo la passione di gioventù, e lo fa con una faccia tosta da sberle, se ancora queste cose si possono scrivere senza farsi denunciare per istigazione alla violenza.
“La verità, vi prego, sull’amore”, invocava W. H. Auden, poeta poco poetico, e quindi poco romantico, e quindi inadatto a venir ricopiato sui bigliettini che i morosi mandavano alle morose, quando ancora sapevamo scrivere a mano. Antonio Pascale disegna una mappa sentimentale dove l’offerta del vino biologico si intreccia con i nostri antenati cacciatori e raccoglitori, con i cuccioli umani che hanno bisogno di cure, con le scarpe fetish. Al festival letterario di Pietrasanta presentò “Le attenuanti sentimentali” narrando un raccontino dell’evoluzione gemellato con la sigla animata della serie tv “The Big Bang Theory”. Dal caos primordiale, all’homo sapiens, al cervellone Sheldon che porta la maglietta con le maniche corte sopra la maglietta a maniche lunghe. E con la bionda esplosiva della porta accanto combina solo pasticci.
Nel Settecento sarebbe stata una carta geografica con il laghetto dell’indifferenza, la collina dell’incomprensione, il ruscello della stima e il fiume della riconoscenza. Oggi si aggiungono le sfuriate contro i paladini del chilometro zero, feticcio di chi in vita sua non ha mai provato a coltivare neanche il fagiolo imposto dalla nostra educazione scolastica, lezione di scienze. Un cocktail benissimo miscelato di sapienza, spirito di osservazione, stile e autoironia.


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