La Merkel non è la Thatcher

Paola Peduzzi

Le donne al potere hanno il problema di essere donne e come tali di dover sottostare ai paragoni tra donne. Sarà che sono poche, sarà che sono tutte toste (“iron” vi dice qualcosa?), sarà che con i cliché si riempiono articoli con il minimo sforzo, ma ci sono alcune comparazioni che, per quanto affascinanti, non reggono. Per esempio: Angela Merkel non è come Margaret Thatcher. Si potrebbe dire che le piacerebbe, ma non sarebbe giusto nei confronti della cancelliera tedesca che ha mostrato forza e coerenza straordinarie, un profilo basso per una determinazione alta, ma ancora: non è come la Thatcher.

    Le donne al potere hanno il problema di essere donne e come tali di dover sottostare ai paragoni tra donne. Sarà che sono poche, sarà che sono tutte toste (“iron” vi dice qualcosa?), sarà che con i cliché si riempiono articoli con il minimo sforzo, ma ci sono alcune comparazioni che, per quanto affascinanti, non reggono. Per esempio: Angela Merkel non è come Margaret Thatcher. Si potrebbe dire che le piacerebbe, ma non sarebbe giusto nei confronti della cancelliera tedesca che ha mostrato forza e coerenza straordinarie, un profilo basso per una determinazione alta, ma ancora: non è come la Thatcher. Certo, c’è la continuità e c’è che la Merkel, con i suoi tanti record raggiunti, supererà l’ex premier britannico come “donna al potere in Europa per più tempo”. Certo, c’è anche la questione “mamma”. I tedeschi chiamano la Merkel “Mutti”, mamma, e l’hanno votata proprio perché è rassicurante come una madre, le hanno perdonato l’incapacità di fare campagna elettorale, la ritrosia a qualsivoglia guizzo, perché alle mamme non è richiesto di essere divertenti, è richiesto di esserci, di essere attente e amorevoli, di badare agli interessi dei figli, e di difenderli. Nel 2001, Margaret Thatcher, chiamata dai Tory a galvanizzare l’elettorato conservatore tramortito dall’onda blairiana e dalle faide interne nate proprio dall’impossibilità di sostituirla, disse meravigliosa: “Sono tornata, e voi lo sapevate che sarei tornata. Arrivando qui sono passata davanti a un cinema che proiettava ‘The Mummy returns’”. Ma anche la leader-mamma è un cliché, se si pensa che Merkel non ha figli e che la Thatcher è stata sempre bastonata dall’opinione pubblica (e dalla sua stessa famiglia) per aver sacrificato i figli alla sua ambizione.

    Angela Merkel non è come Margaret Thatcher. La cancelliera si sente onorata dal paragone: quando la Thatcher è morta, Merkel ha detto che la sua leadership ha influenzato le generazioni a venire, non soltanto le donne, e che il suo amore per la libertà individuale era stato determinante anche per far cadere quel muro dietro il quale era cresciuta la stessa Merkel. Ma la cancelliera ha spesso sottolineato le differenze: il liberalismo della Lady di ferro, l’amore per il mercato e per le sue leggi, è ben distante dal conservatorismo alla bavarese, tendenza economia sociale di mercato di Merkel. L’austerità thatcheriana è ben diversa da quella merkeliana, sono figlie di storie diverse. Thatcher era una ideologa, credeva nei principi liberali “no matter what”, voleva imporre la sua visione del mondo, e lo fece, noncurante delle piazze, degli odi, dei consigli dei suoi collaboratori (che poi infatti l’avrebbero tradita), delle ripercussioni internazionali. Si scontrava per difendere le sue idee, e non le importava nulla del consenso o della moderazione o del dialogo: voleva la rivoluzione economica e sociale per il Regno Unito, e l’ha sbattuta in faccia al suo paese. Merkel è la regina del “cambiamento graduale”, si muove adagio, se può evitare i rischi lo fa volentieri, cerca di assecondare l’umore dei tedeschi, quando è incerta sul da farsi, tende a non fare nulla (il fatto che esista un termine come “merkelvellianism” la dice tutta sullo stile della cancelliera). E’ stata accusata di aver rubato idee ai suoi avversari socialdemocratici, di aver portato i cristiano-democratici verso il centro, di aver snaturato addirittura i valori del suo partito, quando s’è messa a parlare di salari minimi, di immigrati e di famiglia (in realtà rubare terreno politico all’Spd è stata la chiave del suo successo, pure se costoso in termini di identità dei conservatori tedeschi). Ora è alle prese con la gestione di una coalizione, allunga la mano all’Spd, mentre il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, dice di essere aperto a un’alleanza con i Verdi, addirittura, mentre l’idea che le tasse non possano essere aumentate per alcuna ragione sta affievolendosi ora che il terzo mandato è conquistato e la sbornia post elettorale è finita.

    Il pragmatismo di Merkel, rafforzato dalle continue rassicurazioni ai tedeschi, contribuisce a una grande differenza con Thatcher: la popolarità. Alla terza elezione, la cancelliera ha fatto meglio di tutte le altre, ha sfiorato la maggioranza assoluta, ha messo le basi – e ha già un’esperienza di governo – per creare una coalizione a sua immagine e somiglianza. La Lady di ferro è stata più odiata che amata, ha lasciato 10 Downing Street piangendo, ha scoperto il consenso solo dopo, quando il suo rigore è sbocciato nel benessere degli anni Novanta. A quel punto anche per certe sinistre, sicuramente per quella britannica, è diventato cool definirsi thatcheriani. Merkel ha la fortuna di godersi la popolarità da viva, diciamo, e non ha bisogno di tirare troppe borsettate, non deve dare grandi dimostrazioni: lei l’amore ce l’ha già.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi