Lui deve dire soltanto sì

Annalena Benini

Prendi me, scegli me, ama me. E se ancora non hai capito, non preoccuparti, penso a tutto io. Resta fermo, lasciati corteggiare, non lo senti questo profumo di viole? Raccontami ancora di quella volta in cui hai parato un rigore e ti sei rotto il menisco, mi interessa tantissimo, davvero, io poi adoro il calcio, sono diversa dalle altre. Raccontami anche della tua fidanzata di allora, certo che mi fa piacere povero caro, chissà quanto hai sofferto, intanto io scelgo il ristorante, ordino il vino, bello forte stasera, tu parla. Ah, quanto si sta bene, non trovi? Che armonia, che magia, cosa ti serve ancora? Alla ragazza è bastata un’ora, per decidere: vuole lui, e non per una sera, ha in mente un per sempre e un divano per due, un cambiamento dello status di Facebook, poi si vedrà.

    Prendi me, scegli me, ama me. E se ancora non hai capito, non preoccuparti, penso a tutto io. Resta fermo, lasciati corteggiare, non lo senti questo profumo di viole? Raccontami ancora di quella volta in cui hai parato un rigore e ti sei rotto il menisco, mi interessa tantissimo, davvero, io poi adoro il calcio, sono diversa dalle altre. Raccontami anche della tua fidanzata di allora, certo che mi fa piacere povero caro, chissà quanto hai sofferto, intanto io scelgo il ristorante, ordino il vino, bello forte stasera, tu parla. Ah, quanto si sta bene, non trovi? Che armonia, che magia, cosa ti serve ancora? Alla ragazza è bastata un’ora, per decidere: vuole lui, e non per una sera, ha in mente un per sempre e un divano per due, un cambiamento dello status di Facebook, poi si vedrà. L’obiettivo è uno soltanto: la resa, la capitolazione, la bandiera bianca. La conquistatrice non si darà pace, non smetterà di inventare occasioni, messaggi e incontri casuali finché lui non dirà sì. Zadie Smith, scrittrice inglese molto brava e molto bella, non ancora quarantenne, ha raccontato alla radio, ripresa dal Sunday Times di domenica scorsa, che lei è stata la stalker di quello che poi è diventato suo marito, lo scrittore e poeta Nick Laird, da cui ha avuto due figli. Vivono insieme a Londra, scrivono schiena contro schiena, hanno un cane e si occupano dei bambini, ma ci sono stati “secoli”, ha detto Zadie Smith, in cui lui non era affatto interessato a lei. Non le ha mai fatto la corte, non l’ha mai cercata per primo. Ma non era così importante, perché la cosa fondamentale è che lei aveva scelto lui. Durante gli anni dell’università, Zadie andava nella camera di lui e stava lì per metà della notte a cercare di affascinarlo (aveva già cambiato il suo vero nome, Sadie, in Zadie, sempre per un ragazzo, un altro, che le piaceva e il cui nome cominciava per zeta: lei allora era molto giovane e aveva pensato che avere le stesse iniziali potesse essere utile per la conquista, quando si va alla cieca ricerca di cose in comune, di segni del destino. Anche tu con la zeta, ma è incredibile. Non dirmi che adori Henry James, perché allora tu sei davvero molto più me stessa di quanto io lo sia mai stata). Zadie Smith sedeva in quella stanza, speranzosa e decisa a non perdere di vista l’obiettivo, ma a un certo punto della notte, di solito verso le quattro, il ragazzo sbadigliava, le diceva: “Sono stanco, ho bisogno di andare a letto, quindi perché non te ne vai?”, e lei strisciava, solo apparentemente sconfitta, verso camera sua. La sera dopo ritornava. E’ qualcosa che rovescia completamente gli insegnamenti delle nonne e di Goethe sulla necessità di farsi desiderare, diventare scontrose, dire no intendendo sì, fuggire lasciandosi i sassolini alle spalle per essere sicure di essere rincorse. Il rischio è alto: se lui non si accorge di desiderare? Se magari, sinceramente, non desidera affatto, non gli viene proprio in mente, sta guardando le scarpe fetish di un’altra, deve andare a giocare a calcetto, è distratto, ricaduto dentro quel suo cervello pieno di segatura, non si accorge di noi che scuotiamo la testa preventivamente e con enfasi per dire no, volendo rispondere sì a una domanda che nessuno ci ha ancora fatto, “ci vediamo stasera, tu e io?”. Non è una domanda da uomini, sta su tutte le schermate whatsApp delle ragazze, accompagnata a volte da autoscatti che baciano lo specchio del bagno. Non è una domanda da uomini, ma non per via del femminismo che ha dato una scossa ai ruoli, e le donne possono finalmente fare tutto quello che vogliono, invitare a cena, baciare sotto il portone, chiedere: mi fai salire?, o direttamente: ti raggiungo, dimmi in che albergo stai. Non lo è piuttosto per pigrizia e per dispetto, perché dopo secoli di Cyrano de Bergerac e di febbri di conquista è riposante adagiarsi nel ruolo del corteggiato, dello sfuggente, di quello che ha mal di testa o che si accontenta di un po’ di sexting (se si è entrambi abbastanza onesti e non vendicativi da cancellare tutto, dopo dieci minuti di messaggini spinti si può fingere che non sia mai successo niente, non sfiorare mai più l’intimità né l’ambiguità, parlare del tempo, della tesi di laurea e di quella festa fuori città la settimana prossima. “Farli rimanere buoni amici come noi” non è soltanto “Rimmel”, è una delle possibilità di qualcosa che non arriverà fino a un vero appuntamento, che si consumerà dentro un telefono, ma con il patto segreto di non fotografare per nessun motivo la schermata e di non inoltrarla mai ad altri né per vendetta né per gioco – il patto viene spesso infranto).

    Nella commedia di Francesco Bruni, “Scialla!”, il quindicenne che va malissimo a scuola è affascinato dagli incontri di boxe, dall’idea di forza e di successo, non (ancora) dalle ragazze, anzi ha una precisa filosofia di vita: “Stare appresso alle pischelle è un po’ da froci”. Le ragazze lo sanno, quanti whatsApp hanno mandato, quante faccine sorridenti, quanti cuoricini, quanti smile che strizzano l’occhio, quanti silenzi e sbadigli hanno sopportato per portare a termine il capolavoro di corteggiare e conquistare senza averne del tutto l’aria, come se fosse uno scherzo, semplicemente un nuovo linguaggio, un’abitudine, come se davvero fossero sinceramente interessate a quel trekking in bicicletta in salita, come se contassero i secondi che le separano dal derby alla televisione, “perché porto fortuna, me lo dicono tutti sai”. La chat ha aggiunto nuove possibilità di relazione e sconvolgimento di ruoli: permette di usare parole che dentro un telefono, a voce, morirebbero di vergogna, la chat permette di non stare accanto al telefono che non suona come nel racconto perfetto di Dorothy Parker, “Una telefonata” (“Devo smetterla. Non devo fare così. Allora. Immaginiamo che un ragazzo dica che chiamerà una ragazza, poi accade qualcosa, e lui non lo fa più. Non è una tragedia, no? Insomma accade di continuo in tutto il mondo, in questo preciso istante. E che me ne importa di quel che accade in tutto il mondo? Perché quel telefono non squilla? Perché, perché? Ma non puoi suonare? Maledetto schifoso, lì, tutto lindo e lustro. Mica ti farebbe male suonare, sai? Ah sì, ti farebbe male? Maledetto, ti strapperò quelle radici marce dalla parete, e ti spaccherò in mille pezzi quella faccia nera da schiaffi, va’ all’inferno”). Il mondo non è più un telefono che non squilla, o una telefonata muta tanto per sentire la voce, ma un posto dove tutti sono raggiungibili e con l’orario dell’ultimo passaggio scritto sotto il nome, nel posto delle chat i pensieri che si nascondono possono diventare parole più leggere, ma funzionare lo stesso come tele di ragno.

    Un filo dopo l’altro, una faccetta dopo l’altra, fino a che, finalmente, lui si sveglierà e gli si accenderà lo sguardo o dirà sì per sfinimento, alzerà le mani e dovrà ringraziare lo stalking dolce di lei. E l’associazione delle sue amiche, che hanno creato finte feste di compleanno per farli incontrare, finte uscite a quattro per fare incontrare altri due, fintissimi e d’accordo sulla strategia di accerchiamento, finti segni del destino che convergono verso un’unica, finale possibilità: di’ di sì, ama me. E’ stato in fondo il manifesto di Francesca Pascale, la fidanzata di Silvio Berlusconi, almeno per come l’ha spiegato nei dettagli a Giovanni Audiffredi su Vanity Fair. E’ la storia di un inseguimento. Lui ha quasi cinquant’anni più di lei ed è Silvio Berlusconi, lui ha gli occhi allungati e lei dei tubini da dama della Croce Rossa e sopracciglia bioniche, ma se davvero a tutti interessa il mondo contemporaneo, se davvero bisogna provare a catturare il presente, allora il presente, già quasi passato, è Francesca Pascale che a Fuorigrotta, Napoli, nel 2006, a ventun anni, riceve la chiamata dell’uomo famoso a cui ha chiesto il numero di telefono, di slancio, adesso deve richiamarlo e non ha credito nel cellulare: allora fa un SOS ricarica e gli dice: “Eccomi, presidente”. Il romanzo di questo fidanzamento prevede poi alcune notti al capezzale in ospedale (la malattia è sempre un’ottima occasione, anche Alice Munro fa sposare due personaggi grazie alla bronchite di lui e al brodino di lei), la determinazione a non fare un passo indietro, una dichiarazione d’amore notturna rifiutata: sei troppo giovane, non posso darti il futuro che meriti, e poi la vittoria di una ragazza caparbia, che fruga nelle tasche in cerca di bigliettini e che su Facebook scrive: “Finché morte non ci separi”. Ma soprattutto il senso della storia, vera o finta non importa affatto, è che lei aveva già deciso tutto: “L’ho cercato, l’ho corteggiato, l’ho fatto innamorare e l’ho fatto fidanzare. Praticamente ho fatto e faccio tutto io: lui deve solo dire sì”. Lui deve dire solo sì, come nella stanza all’università con Zadie Smith e il suo futuro marito che sbadigliava, come il medico pachistano di cui si innamorò Lady D (lui però disse no), come, anni dopo, il principe William e Kate Middleton, la ragazza che ha finalmente capovolto la favola di Cenerentola e inseguito sulle scale il principe che scappava. Come nella tela del ragno che viene filata con destrezza intorno a uomini un po’ pigri, che adesso possono permettersi la risposta fredda, lo smistamento degli inviti come faceva un tempo la più carina della classe, perfino la teoria sull’amicizia fra uomo e donna. E le ragazze, cresciute con l’idea di potere finalmente avere tutto, non si scoraggiano davanti al distacco, continuano a offrire passaggi in auto, in motorino, a proporre gite al mare, a inventarsi un circo variegato, un intrattenimento convincente che provochi, magari di notte, una resa appassionata e non solo sporadica. Succedeva già alle ragazze americane dei racconti di Dorothy Parker (“Quando ci vediamo?”, disse lei. “Ti farò uno squillo”, disse lui. “Sono straimpegnato, tra ufficio e tutto il resto. Sai cosa farò? Ti darò uno squillo”. “Be’ giuro, ho una quantità di impegni!” disse lei. “Non so proprio quando avrò un minuto libero. Ma tu chiamami, va bene?”), ma succedeva come un segreto, come un fallimento da nascondere sotto un cappellino con le camelie. Adesso ci sono le faccine tristi, nei messaggi agli amici, a svelare il rifiuto di lui, ci sono infinite riunioni di gruppo per mettere a punto nuove tattiche, per inventare il messaggio perfetto, l’ubriacatura perfetta: l’accerchiamento può durare anni, anni in cui lui non concede nemmeno un bacio, anni in cui lui racconta quanto è pazzo di un’altra, ma lei nel frattempo immagazzina informazioni: la pettinatura che gli piace, i libri che legge, le parole che usa, i nomi dei figli che vorrebbe, la città preferita (le ragazze che sanno quello che vogliono sono specializzate in sorprese di compleanno, biglietti aerei infiocchettati, e un’aria disinvolta: dài, partiamo). Sono disposte a travestirsi da amiche, per un po’. In un film di Woody Allen di vent’anni fa, “Mariti e mogli”, Mia Farrow si innamora di Liam Neeson, collega in una rivista d’arte, ma lui non si accorge di lei. Lei allora gli presenta la migliore amica, appena separata, di cui lui si innamora subito, Mia Farrow piange di nascosto ma resiste, finché l’amica torna con il marito e Liam Neeson comincia a soffrire: il momento è arrivato. Lo invita a cena, gli sta vicino, lo cura, lo ascolta, sopporta perfino che lui una domenica pomeriggio le dica: “Voglio stare solo, mi stai sempre addosso, non ti amerò mai”. Dopo un anno, il matrimonio. Lei gli ha fatto dire sì, lui non sa nemmeno individuare il momento preciso in cui è successo, ma si ritrova con le mani strette fra le mani di lei, loro due accanto sul divano, e sorride felice. A volte sono piccoli passi, un pettine lasciato in bagno, una lampada regalata “perché qui c’è così poca luce”, una piantina messa sul davanzale: la faticosa, delicata costruzione di un clima di naturalezza, come se fosse tutto così semplice, spontaneo, come se lei fosse sempre stata lì, senza scarpe sul divano, con quell’aria di schietto trionfo. Compensare l’incertezza maschile con tutta la possibile sicurezza femminile, accettare anche che la vanità venga ferita dalla dimenticanza, dalla distrazione, dal: preferisco l’amicizia. Secondo Antonio Pascale fa tutto parte delle attenuanti sentimentali, come il titolo del suo ultimo libro uscito da poco per Einaudi, fa parte del disordine, dell’evoluzione, degli errori e delle possibilità, che mischiano le carte e spostano lo sguardo: lui va in giro per locali dove i maschi non sembrano interessati alle femmine: “Tutti fidanzati, bravi, eleganti, artisti, ma bio”. Indaga, chiede alle ragazze: ma scusate, non sentite qualcosa di strano, ma i maschi dove sono? I maschi bevono vino biologico, parlano fra loro di gradazioni del grigio, sanno tutto di mobili, approfondiscono in treno, durante un viaggio verso il mare, le prospettive di Gianni Cuperlo, discutono della morte dei talk-show, tuìttano pensieri spiritosi su Guido Barilla, stanno attenti ai carboidrati. Ne “Le attenuanti sentimentali” Paola racconta del ragazzo che ha passato la notte da lei sul divano, a parlare dell’infanzia e bere una tisana (“Ah, un maschio che beve tisane, non è un buon segno!”), la mattina dopo lui le ha detto: portami da qualche parte. “Portami, capisci? Non: andiamo. Mi affida ogni responsabilità, e io me la prendo: mare, Ostia. Me lo carico sul motorino, arriviamo alle Dune, io e lui sulla spiaggia, soli”. Passano una bellissima giornata, romantica, con i nudisti accanto, ma lui deve partire, le dà un bacio in fronte e va via. “Tutta la settimana mi chiedo: ma non gli piaccio?”. Però lei non si offende, non demorde, una sera lo raggiunge a una festa, lui le corre incontro e le dice: stiamo insieme (“Stiamo insieme non è nemmeno un sottotesto. Insomma, stiamo insieme è stiamo insieme”). Escono, si avvicinano al motorino, lui le fa una carezza sulla guancia, passa un camioncino e si ferma proprio davanti a loro, come a proteggerli. Lei pensa: Paola, non essere timida. E dice: ma dammi un bacio. “Un bacio? No dài Paola, non fare così”. Lei chiede scusa e va via veloce in motorino, lui la chiama, lei gli manda un messaggio di scuse. Lui risponde: “Ma no, non avevo capito di piacerti tanto fino a un bacio”. E poi: “Hai fatto bene a manifestare i tuoi sentimenti, ma io preferisco l’amicizia”. Come le ragazze che a scuola dicevano: mi dispiace se ti sei illuso, ma per me sei solo un amico, e però quanto erano compiaciute di quella conquista, di quella prova di esistenza, di quel dolore che avevano suscitato quasi involontariamente, con la sola forza della vicinanza e dei sorrisi. Per me sei solo un’amica. Un tempo era forse il massimo dell’umiliazione, adesso è invece un buon punto di partenza per uno stalking dolce, premuroso e determinato, per tessere la tela del ragno e fargli dire, finalmente: sì, scelgo te.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.