Garcia è il nuovo re di Roma, Liverani ha già finito l'avventura a Genova

Sandro Bocchio

Due mesi e diciotto punti dopo, Rudi Garcia è diventato il nuovo re di Roma. Almeno di quella giallorossa. A metà luglio lo consideravano un oggetto indesiderato, collettore ultimo - in quanto allenatore - di tutti i veleni lasciati in eredità dalla fallimentare stagione precedente. Ma che il francese fosse persona totalmente estranea alle dinamiche cittadine e pienamente convinta delle proprie qualità (altro che un marziano a Roma), lo si capì subito nel modo in cui reagì a chi lo attaccava in ritiro: "Chi ragiona così è un tifoso della Lazio", la peggior offesa che si potesse arrecare ai depositari del verbo romanista.

    Due mesi e diciotto punti dopo, Rudi Garcia è diventato il nuovo re di Roma. Almeno di quella giallorossa. A metà luglio lo consideravano un oggetto indesiderato, collettore ultimo - in quanto allenatore - di tutti i veleni lasciati in eredità dalla fallimentare stagione precedente. Ma che il francese fosse persona totalmente estranea alle dinamiche cittadine e pienamente convinta delle proprie qualità (altro che un marziano a Roma), lo si capì subito nel modo in cui reagì a chi lo attaccava in ritiro: "Chi ragiona così è un tifoso della Lazio", la peggior offesa che si potesse arrecare ai depositari del verbo romanista. Sembrava il modo errato per dare vita una nuova avventura, invece è stata la mossa che ha fatto capire come sulla panchina giallorossa fosse arrivato uno vero, capace di raccogliere risultati concreti rispetto a chi lo aveva immediatamente preceduto: non si vincono per caso titolo e Coppa di Francia nello stesso anno in una società di secondo piano come il Lille. Garcia ha gestito una campagna estiva fondata su cessioni eccellenti, ha chiesto gente funzionale al suo progetto, ha ridato un'anima al gioco e serenità alla squadra. Nessuna visione in bianco o nero secondo le abitudini di Zdenek Zeman, ma la capacità di saper valutare ogni giocatore secondo ogni aspetto: basti vedere che cosa sia oggi Daniele De Rossi, ricordando quanto gli stesse succedendo giusto un anno fa, quando si ritrovò nel mirino del boemo. Invece Garcia ha voluto farsi amico e alleato lo spogliatoio, nel pieno rispetto dei ruoli. Ha tenuto conto della sapienza degli anziani, ha compreso le ragioni dei giovani, ha ridato fiducia a chi si era perso per strada. Il resto è un inizio di campionato da tramandare ai posteri.

    Sei partite e sei vittorie, derby compreso: un particolare - quest'ultimo - da non sottovalutare mai a Roma. Archiviato l'avvio del Fabio Capello giallorosso 2000-01, con quattro vittorie iniziali. E attacco al Fabio Capello juventino, quello dei nove successi consecutivi alla partenza del torneo 2005-06, anno dello scudetto poi cancellato da Calciopoli. Numeri che danno la misura della Roma, insieme con le diciassette reti realizzate e l'appena una subita, con nove giocatori differenti già mandati a segno. Numeri che sono il segno di una squadra che diverte e si diverte come mai si era visto, e che lo fa grazie a un allenatore che ama il suo lavoro senza dimenticare i sottili piaceri della vita ("Quando ho conosciuto il presidente Pallotta mi ha colpito la sua cantina: pazzesca"). Uno che sa di dover sempre andare controcorrente, fin dal nome di battesimo: Rudi come Rudi Altig, il grande ciclista. Non francese, bensì tedesco, gente poco amata e non solo a Parigi a dintorni. Uno che sa come prendere chi gli sta intorno, anche quelli che ti vomitavano addosso la loro rabbia nel ritiro di Brunico e che si sentono dire, dopo aver vinto il derby: "Ora sono anch'io giallorosso", manco fossi John Kennedy di mezzo secolo fa, davanti al muro di Berlino. Ma con diciotto punti in mano tutto è permesso.

    Quattro sono invece i punti che ha collezionato Fabio Liverani, prima di essere messo gentilmente alla porta da Enrico Preziosi. E' arrivato secondo, il presidente del Genoa, nella stagionale gara con il collega Maurizio Zamparini a chi cacci prima il proprio allenatore: il presidente del Palermo lo aveva infatti preceduto di pochi giorni congedando bruscamente Rino Gattuso. Chi va a sedersi sopra una di questa due panchine sa a che cosa andrà incontro: camminerà sempre sul filo, in attesa della folata di vento che lo butti giù per fare spazio alla prossima vittima. In fondo Liverani se lo aspettava già, dopo essere stato umiliato in casa dalla Fiorentina: "Il tecnico è una mia scelta che difenderò fino all'ultimo", aveva sentenziato Preziosi. La vittoria nel derby era semplicemente servita a illudere l'ambiente rossoblù e a prolungare l'agonia, sovraccaricata di significati che nascondevano la classifica deficitaria e il reale valore della Sampdoria. Sono bastate altre due sconfitte per segnare il destino dell'allenatore pescato dalla squadra Allievi e per riaprire le porte al figliol prodigo Gian Piero Gasperini, uno che aveva portato i rossoblù a livelli mai più visti dai tempi di Osvaldo Bagnoli e che aveva divorziato in maniera polemica non più tardi di tre anni fa. Erano volate parole grosse e giudizi pesanti, tali da far ritenere impensabile una riappacificazione. Ma il calcio segue logiche tutte sue e Liverani se ne è accorto sulla propria pelle.