Mondi paralleli
Quando il premier è a New York il governo (tra)balla, ovvero la liturgia da larghe intese all'italiana
Neppure il ministro dell'Informazione irachena ai tempi di Saddam si era trovato in una situazione simile. Lo ricordate? Correva l'anno 2003, 8 aprile, e Mohammed Sahif al Sahaf, mentre i carri armati sfilavano alle sue spalle e Bush annunciava la costituzione di un nuovo governo, spiegava alla Cnn: “Si arrenderanno o saranno bruciati nei loro panzer. Non abbiamo paura, stermineremo gli americani”.
Così il premier Enrico Letta si è trovato a sua insaputa a gestire una situazione surreale: mentre suonava la campanella di Wall Street (25 settembre, fuso orario di New York) deputati e senatori del Pdl si sono riuniti per innovare la procedura parlamentare con le dimissioni di massa. Mondi paralleli.
Neppure il ministro dell’Informazione irachena ai tempi di Saddam si era trovato in una situazione simile. Lo ricordate? Correva l’anno 2003, 8 aprile, e Mohammed Sahif al Sahaf, mentre i carri armati sfilavano alle sue spalle e Bush annunciava la costituzione di un nuovo governo, spiegava alla Cnn: “Si arrenderanno o saranno bruciati nei loro panzer. Non abbiamo paura, stermineremo gli americani”.
Così il premier Enrico Letta si è trovato a sua insaputa a gestire una situazione surreale: mentre suonava la campanella di Wall Street (25 settembre, fuso orario di New York) deputati e senatori del Pdl si sono riuniti per innovare la procedura parlamentare con le dimissioni di massa. Mondi paralleli. Nella Grande Mela il presidente del Consiglio rassicura la business community sul fatto che “l’Italia è un paese giovane, virtuoso e affidabile”, alle cinque della sera a Roma le agenzie di stampa battono la notizia: “Pdl verso dimissioni in blocco, richiesta di scioglimento delle Camere” (agenzia Agi, ore 17 e 25). Patatrac.
Il rovescio è arrivato sull’onda del pathos, con er core in mano e senza gran ragionamento sulle conseguenze ultime dell’Aventino in progress. Evoluzione a scatti di una crisi. Sabato (21 settembre) Brunetta sfodera il solito se tal cosa non si fa il governo cadrà (cogitazioni varie sull’Iva, da Milano) ma tutto sembra far parte della liturgia da larghe intese all’italiana. Sempre da Milano Angelino Alfano avvisa che non è quello il futuro, ma il segretario è sempre vago e nessuno se lo fila. Il copione prosegue senza sorprese. L’Associazione nazionale magistrati fa la sua nota contro Berlusconi, uno del Movimento 5 stelle capisce fischi per fiaschi e dice che Napolitano trama con il Cav., Chiambretti annuncia che don Mazzi accoglierebbe Berlusconi (da RadioDue) e la domenica (22 settembre) s’apre solare e feconda, con Cicchitto che torna a occuparsi della pratica Saccomanni perché “è un bel problema se pretende di diventare da ministro tecnico dell’Economia il vero presidente del Consiglio” (ore 11 e 24). Guglielmo Epifani ha un’intuizione per cui “Berlusconi mi sembra in campagna elettorale” e Sandro Bondi parla sobriamente di “colpo di stato”. L’uffa domani è lunedì (23 settembre) diventa una certezza quando Matteo Renzi fa va a “Omnibus” (La7) e fa partire due pizze in faccia a Letta: “Il governo sia di larghe vedute e non di piccoli interessi”, accade mentre apprendiamo che un giudice chiamato Soprano (che beffardo, il caso) sarà il presidente della Corte d’appello che deciderà sulle pene accessorie di Silvio, e l’infaticabile Brunetta copia lo stile Repubblica e fa dieci domande a Saccomanni.
Qualcosa comincia a far pensare all’arrivo di una strambata in pieno mare grosso quando dai divani del Transatlantico si leva un chiacchiericcio su un’altra “offensiva video” di Silvio. Tip tap in sala stampa. Finalmente qualcosa da scrivere. Con calma, perché il martedì (24 settembre) è tutto delle donne. Prima c’è da leggere la confessione d’amore di Francesca Pascale a Vanity Fair (“Praticamente ho fatto e faccio tutto io: lui deve solo dire di sì”) e poi c’è il debutto di Barbara Berlusconi sull’ottovolante della politica con un’intervista a “Ballarò” (“Gli errori li facciamo tutti ma negli ultimi vent’anni nel panorama politico europeo non esiste leader contro il quale si sia fatto tanto per impedirgli di governare nonostante il consenso”). Grande dilemma tra i politologi: e se invece di Marina fosse lei, Barbara, l’erede? Massimo Cacciari fissa il perimetro della discussione accademica: “Barbara Berlusconi? L’ho conosciuta come studentessa qualche anno fa ed è una bravissima, appassionata e di una assoluta modestia. Era molto legata ai suoi colleghi di corso. Non faceva assolutamente pesare il suo cognome. In politica potrebbe funzionare, meglio di Marina Berlusconi”. Nell’attesa di una soluzione dinastica, i verbali di Sergio De Gregorio finiscono sui giornali, precedendo di qualche giorno il suo sbarco in video da Santoro. E’ dall’inchiesta di Napoli che decollano ceneri e lapilli, eruzioni di voci, esalazioni di richieste d’arresto e notti insonni di Berlusconi (“Sono 55 giorni che non dormo”).
Il Pdl del “siamo tutti decaduti”
E’ giovedì 26 settembre, la pacificazione è archiviata per sempre, Michele Santoro fa “Servizio Pubblico” (ancora su La7, e meno male che Cairo per i nemici era un pericoloso berlusconiano…) riapre la vecchia partita di sempre, 87 senatori su 91 hanno firmato le dimissioni, le agenzie informano che ha messo il sigillo personale anche Antonio Razzi pur sul lastrico e con un mutuo da pagare. E il premier Letta? E’ tornato dall’America con un governo che balla. Si sente con Napolitano più volte, apre la procedura della verifica parlamentare, ci sarà un voto di fiducia. Il presidente della Repubblica manda segnali, avverte il Pdl e Berlusconi, con una dichiarazione ufficiale, usa la parola “inquietante”, respinge “pressioni per sciogliere le Camere”, guarda scintillare i fili elettrici del governo. Spera nella soluzione, ma fa sapere che no, “non sono un ingenuo”. E’ venerdì, c’è perfino il tempo di vedere la bozza del governo che fa slittare l’Iva a gennaio, sapere che il 4 ottobre il Pdl sarà in piazza Farnese con lo slogan “Siamo tutti decaduti” e leggere l’amarezza di Napolitano tra le righe di un discorso su Luigi Spaventa. Sono le 18, Enrico Letta sale al Quirinale. L’ora del tè è passata, meglio un caffè. Amaro.
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