Il Caimano e il Delfino bianco

Salvatore Merlo

“E ora duriamo, duriamo. Accidenti se duriamo”, il 2015 non gli appare più così lontano, irraggiungibile. Enrico Letta, dopo tre giorni di passione spesi con le braccia immerse fino ai gomiti nel pazzotico ribollire del Pdl, adesso si trova in quello stato di fiducia dei sensi che suole seguire l’abbraccio amoroso, e mai più ripeterebbe la frase pronunciata da Fabio Fazio, in televisione, mesi fa, “questo non è il governo che volevo”. Conquistata la fiducia in Parlamento, piegato Silvio Berlusconi, che ha sfiorato una sconfitta interna al suo Pdl e che dunque, con una capriola – et voilà, “sono pur sempre un uomo di spettacolo” – ha deciso di concedere anche lui la fiducia, Letta ora ha la sensazione di essersi raddrizzato come la Costa Concordia.

    “E ora duriamo, duriamo. Accidenti se duriamo”, il 2015 non gli appare più così lontano, irraggiungibile. Enrico Letta, dopo tre giorni di passione spesi con le braccia immerse fino ai gomiti nel pazzotico ribollire del Pdl, adesso si trova in quello stato di fiducia dei sensi che suole seguire l’abbraccio amoroso, e mai più ripeterebbe la frase pronunciata da Fabio Fazio, in televisione, mesi fa, “questo non è il governo che volevo”. Conquistata la fiducia in Parlamento, piegato Silvio Berlusconi, che ha sfiorato una sconfitta interna al suo Pdl e che dunque, con una capriola – et voilà, “sono pur sempre un uomo di spettacolo” – ha deciso di concedere anche lui la fiducia, Letta ora ha la sensazione di essersi raddrizzato come la Costa Concordia. E insomma deve soltanto raggiungere un porto, riparare gli squarci ed evitare gli ultimi scogli, cioè le votazioni, a cominciare da domani, sulla decadenza del Cavaliere. “Questo adesso è il mio governo”, pensa il presidente del Consiglio, i suoi ministri sono davvero tutti suoi, adesso, e a Palazzo Chigi già sanno che la stessa prova di forza, giocata contro Berlusconi, potrebbe essere presto richiesta anche dentro il Pd. Lo dice pure Massimo D’Alema, mai quieto, spettatore interessato, regista d’una trama avvolgente, lui che in Letta e Alfano vede soprattutto una fitta rete nella quale intrappolare le membra spavalde di Matteo Renzi, “appare chiaro che in questo momento nessuno ha la forza di far cadere il governo”, allude, sotto i baffi, D’Alema. E dunque per Letta, Angelino Alfano non è più l’assistente di Berlusconi prestato al governo, ma è davvero il suo vice, il partner, il compare, e così pure gli altri ministri, quel governo di seconde file s’è trasformato in un proscenio per attori protagonisti.

    “Adesso un pezzo di Pd e un pezzo di Pdl stanno insieme, ma sul serio”, dice Dario Franceschini, con lo sguardo luminoso di chi forse già immagina una nuova, inedita, geometria politica, la stessa che s’indovina negli strani e trasversali capannelli di deputati che improvvisamente germogliano in Transatlantico. E così Pier Ferdinando Casini, che sempre sa aggrapparsi, naufrago nella tempesta, a quell’unico legno che si tiene a galla nel mare periglioso, ha già dimenticato Scelta civica, addio Monti. E con lo sguardo (e le opere e le parole), l’allievo di Forlani ora suggerisce e concupisce Letta, versa immagini e lusinghe nelle orecchie di questo leader costituzionalmente nato per governare la palude, il premier che non convince ma vince – persino il ministro Quagliariello sbadiglia due volte mentre Letta parla nell’Aula del Senato – lui che tuttavia, forte delle sue debolezze, sempre galleggia, come un sughero in Parlamento. “Letta, Alfano, Franceschini, Lupi, e poi Fioroni, Formigoni, Giovanardi, Casini… Cos’hanno in comune?”, si chiede Rino Formica, che forse ha l’età e l’esperienza per riconoscere nel nuovo qualcosa di molto vecchio, di antico persino, “sono getti vegetali d’antica pianta democristiana”, sorride. E Fabrizio Cicchitto, ex capogruppo del Pdl e neo dissidente, anche lui diversamente berlusconiano, nell’Aula della Camera, con la sua dichiarazione di voto, alla fine spiega cosa sta succedendo in queste ore, disegna il profilo della Terza Repubblica, o forse della Prima Repubblica che ritorna: “Il modello è quello tedesco, il confronto tra una grande democrazia cristiana e un partito socialdemocratico”. Ma funzionerà o forse, eccitati dalla vittoria, tutti fanno i conti senza il Cavaliere? Berlusconi ha nella voce fantasie e moine, quali continua a dettargliele l’antica abitudine di affascinare. E dunque ieri, complice la mediazione frenetica di Renato Schifani, il signore di Arcore ha abbassato il ponte levatoio del Castello per far entrare – è l’ultima volta? – Angelino Alfano. L’ex delfino ha evitato, per il momento, la nascita d’un gruppo autonomo che raccolga i frammenti del Pdl quasi esploso in Parlamento. Al Cavaliere, Alfano propone un accordo, un patto, vorrebbe il Pdl, il nome, il marchio, il partito e i gruppi. Dunque da una parte Forza Italia di Denis Verdini e Daniela Santanchè, dall’altro il partito di Alfano, Lupi e Quagliariello. Tutti, formalmente, sottoposti ancora al carisma del Cavaliere. “Tu sei il padre nobile, resti il nostro presidente, sempre. Così avrai due partiti”. Uno di lotta e uno di governo, suggerisce Alfano a Berlusconi, al caro leader che ieri ha votato a malincuore la fiducia, lui che in un solo pomeriggio è riuscito a cambiare idea quattro volte prima di deludere definitivamente i falchi e soprattutto Verdini (“ti prego non farlo, o siamo finiti”). Pare che Berlusconi ora sia incline ad accettare l’offerta di Alfano, malgrado ancora lo guardi con dissimulata diffidenza. Il Cavaliere è capace ancora di concupire, smaniare, agire. Pronto a divincolarsi pur con un piede nella fossa giudiziaria (domani la giunta del Senato), perseverando nel movimento – “Angelino, di Napolitano non puoi fidarti” – a rischio di stringersi al collo, ancora di più, il capestro che gli hanno imposto.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.