La Francia è arrivata a “poche ore” dal bombardare Assad

Daniele Raineri

Il settimanale parigino Nouvel Observateur questa settimana racconta come il governo di François Hollande stesse per attaccare la Siria perché credeva che l’Amministrazione Obama fosse sul punto di fare lo stesso e come l’operazione sia stata bloccata all’ultimo, “poche ore” prima dell’inizio dei bombardamenti, quando i francesi hanno capito che gli americani non volevano attaccare. L’equivoco comincia alle tre del mattino di sabato 31 agosto, quando l’ufficiale in servizio all’Eliseo riceve una chiamata dalla sua controparte alla Casa Bianca, che lo avverte che nel pomeriggio alle 18.15 ora di Parigi arriverà una chiamata del presidente americano Barack Obama.

    Il settimanale parigino Nouvel Observateur questa settimana racconta come il governo di François Hollande stesse per attaccare la Siria perché credeva che l’Amministrazione Obama fosse sul punto di fare lo stesso e come l’operazione sia stata bloccata all’ultimo, “poche ore” prima dell’inizio dei bombardamenti, quando i francesi hanno capito che gli americani non volevano attaccare.

    L’equivoco comincia alle tre del mattino di sabato 31 agosto, quando l’ufficiale in servizio all’Eliseo riceve una chiamata dalla sua controparte alla Casa Bianca, che lo avverte che nel pomeriggio alle 18.15 ora di Parigi arriverà una chiamata del presidente americano Barack Obama. Alle otto di mattina il consigliere di Hollande, Paul Jean-Ortiz, riceve l’avviso e lo gira al presidente. Il francese decide di convenire un consiglio di guerra ristretto, l’orario stabilito è subito dopo la chiamata di Obama: ci saranno i ministri di Difesa, Interni e Affari esteri, il capo di stato maggiore e i direttori della Dgse (l’intelligence che opera all’estero) e dei servizi segreti militari. Dopo la riunione, Hollande darà l’ordine formale di entrare in guerra con la Siria. Almeno, così credono lui e i convocati, scrive il Nouvel Observateur.

    Il pezzo spiega com’era il piano d’attacco francese. Partenza nella notte, alle tre. Tra gli obiettivi scelti ci sono le batterie di missili e i centri di comando della Quarta divisione, ritenuta responsabile degli attacchi chimici. Gli aerei Rafale voleranno sopra il mar Mediterraneo, perché se passassero dallo spazio aereo turco Assad potrebbe contrattaccare per autodifesa e Ankara potrebbe invocare in risposta il capitolo V del Patto atlantico e c’è il rischio di una escalation, lo strike potrebbe trasformarsi subito in una guerra tra la Siria e la Nato. C’è un problema: i missili francesi hanno una gittata di 250 chilometri, possono arrivare a colpire bersagli nella Siria occidentale, inclusa Damasco, ma non oltre. Al resto dovranno pensare gli americani. L’ordine per i francesi è di agire in autonomia per quanto riguarda voli e rifornimenti: Obama deve dare soltanto il segnale d’inizio.

    Hollande vuole evitare di apparire come il premier britannico Tony Blair all’epoca della guerra in Iraq nel 2003, troppo al servizio degli americani e per questo decide che parte dell’intelligence sugli attacchi chimici in Siria deve essere “declassificata” e resa pubblica. Si stabilisce che il giorno dopo un documento con le prove sarà allegato al Journal du Dimanche, uno speciale con il tricolore francese stampigliato su tutte le pagine.

    Alle due e mezza di pomeriggio si studia il piano per la comunicazione: le immagini da fornire ai media, quelle già disponibili e quelle dei primi bombardamenti da far arrivare il prima possibile. E, naturalmente, si compila la lista dei leader stranieri da avvertire. Si conviene che subito dopo la telefonata con Obama, Hollande chiamerà per prima Angela Merkel.

    Il governo e le Forze armate francesi sono completamente convinti che quello sia il “grande giorno”, come lo chiamano. Da almeno una settimana l’attacco è considerato inevitabile. Quattro giorni dopo la strage con armi chimiche alla periferia di Damasco Obama e Hollande hanno discusso varie possibilità di punizione contro Assad, inclusa quella militare. Il giorno dopo gli staff dei due paesi hanno cominciato a lavorare assieme a un piano comune per compiere lo strike. Il giovedì prima Susan Rice, consigliere per la Sicurezza nazionale di Obama, avverte Paul Jean-Ortiz che il capo è “tout près d’y aller”, sul punto di entrare in azione. Il giorno dopo, i francesi colgono numerosi segnali sull’imminenza dei bombardamenti americani. Quel giorno il segretario di stato, John Kerry, incontra numerose volte il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, dice che Obama gli ha chiesto di “preparare l’opinione pubblica agli strike”. Lo stesso giorno, fa notare un’altra fonte al Nouvel Observateur, la Casa Bianca presenta la sua versione sulla strage, che è una lunga accusa contro Assad. Obama e Hollande quel giorno parlano a lungo, l’americano dice di non avere preso la decisione finale, ma che i bombardamenti potrebbero arrivare presto, “prima o dopo il G20. Vediamo domani o dopodomani”.

    Così, quando sabato 31 agosto arriva l’avviso di una chiamata dalla Casa Bianca per le sei di pomeriggio, la Francia è convinta di essere sul punto di attaccare la Siria. Nessuno all’Eliseo sa che invece Obama deciderà di chiedere al Congresso l’autorizzazione all’intervento militare e non lo saprà ancora per ore, quando invece ormai i capi del Congresso americano sono già stati avvertiti.

    Hollande è allibito, dice il settimanale parigino nella sua ricostruzione. Tenta di far cambiare idea a Obama, ma ovviamente dopo il suo annuncio del giardino delle rose, davanti alle tv americane, non è più possibile. Il capo di stato maggiore riunisce i suoi e studia al volo quando sarà la prossima finestra d’opportunità per i bombardamenti: è attorno al 15 settembre, tra il voto dei rappresentanti americani al Congresso e l’apertura dell’Assemblea generale alle Nazioni Unite.

    In uno special report pubblicato da Reuters il 17 settembre, un diplomatico europeo riassume così: la Francia “è stata trattata dagli americani come un utile idiota”.   Il report racconta anche di un pranzo tra un diplomatico russo e l’ambasciatore francese all’Onu, Gérard Araud, a primavera. Il francese diceva che Parigi disponeva delle prove certe dell’uso di armi chimiche da parte di Assad. Il russo gli rideva in faccia: “Gérard, non mettete in imbarazzo gli americani”.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)