Il presidente, la tv, la pizza e la stagista. Nostalgie pop di shutdown vissuti

Paola Peduzzi

C’è un video che risale allo shutdown americano del 1995, in cui John Boehner, deputato conservatore dell’Ohio con occhi irresistibili, rispondeva al comunicato con cui il presidente Bill Clinton annunciava l’impossibilità di trovare un accordo con i repubblicani sul budget: “Lo stato è diventato troppo grande e troppo costoso – diceva Boehner – e non possiamo più stare a guardare, e vedere che i nostri figli sono condannati alla bancarotta. Questo non è il momento di giocare a golf, come ha fatto ieri il presidente, questo è il momento di tornare indietro”.

    C’è un video che risale allo shutdown americano del 1995, in cui John Boehner, deputato conservatore dell’Ohio con occhi irresistibili, rispondeva al comunicato con cui il presidente Bill Clinton annunciava l’impossibilità di trovare un accordo con i repubblicani sul budget: “Lo stato è diventato troppo grande e troppo costoso – diceva Boehner – e non possiamo più stare a guardare, e vedere che i nostri figli sono condannati alla bancarotta. Questo non è il momento di giocare a golf, come ha fatto ieri il presidente, questo è il momento di tornare indietro”. Boehner, oggi speaker del Congresso, è forse il politico americano che più ha giocato a golf con l’attuale inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, discutendo di tagli, di tasse, di conti che non tornano ma torneranno, non si preoccupi Mr. President, peccato per quel putt che non ha imbucato, se lo meritava. Allora non lo sapeva, Boehner, che il golf sarebbe diventato il simbolo dei negoziati falliti, degli shutdown, dello spirito bipartisan collassato (a dire il vero era già tutto finito quando Bob Woodward ha riportato i dettagli dello scontro di civiltà tra Boehner e Obama, altro che filosofia economica, uno beve il merlot e l’altro il tè freddo, uno fuma qualsiasi cosa abbia a tiro e l’altro mastica Nicorette). La sceneggiatura dello shutdown era ancora da scrivere: ci avrebbero pensato lo stesso Bill Clinton, che in materia è sempre stato il migliore di tutti, e naturalmente il team di autori di “The West Wing”, che tutto hanno immortalato (anche se poi lì finisce tutto bene e qui, oggi, non si sa come andrà a finire, non solo adesso che ci viene un colpo quando pensiamo ai bambini malati di cancro spostati dagli ospedali perché non ci sono abbastanza medici e infermieri per tutte le strutture, come ha raccontato l’Atlantic martedì sera, altro che Statua della libertà chiusa e disperazione dei turisti, ma quando inizieranno, a metà mese, i negoziati per il tetto del debito, che sono quelli davvero pericolosi, non soltanto per gli americani ma pure per noi spettatori della lontana Europa). Nella puntata di “West Wing” intitolata “Shutdown” (quinta stagione), il presidente Bartlet lascia passare la data del 30 settembre senza accordarsi con lo speaker del Congresso che alza la posta sul taglio alle spese per le riforme. Il loro incontro dura sei minuti, “lei lo sa presidente che sarà ritenuto responsabile dello shutdown del governo federale?”, dice lo speaker. Bartlet risponde: “Then shut it down”. Per il resto della puntata, mentre lo staff presidenziale le tenta tutte rispondendo personalmente ai telefoni perché le segretarie se ne sono andate a casa, con il chief of staff che dice al presidente: “Non sempre è sufficiente avere ragione, sir”, Bartlet guarda partite di pallacanestro in tv.

    Che è forse il dettaglio più realistico di tutta la puntata e di tutta la presidenza obamiana, se è vero, come scrive il Washington Post, che il governo federale d’America non funziona più perché non si sono parlati i leader che potrebbero cambiare le cose, perché Boehner non regge più il presidente desigarettizzato e Obama pensa di poter leading from behind (ma davanti alla tv) anche i conti economici. Gli shutdown passano e i presidenti restano, lo ripetono tutti gli analisti che sono andati a riesumare articoli e servizi del 1995 e del 1996 (c’era bisogno di un’altra iniezione di clintonismo, in effetti) per dimostrare che poi non accadde granché, un po’ di leadership stropicciate dagli eventi, ma rimesse in sesto nel giro di pochi mesi. Evitano di ricordare che il 1996 non è come il 2013, né politicamente né economicamente, e soprattutto non ricordano che lo sceneggiatore in chief era già al lavoro, grandioso e incomparabile come mai. Nello shutdown del 1995, lo staff della Casa Bianca non poteva lavorare e così le mansioni pratiche furono date agli “unpaid intern”. Una sera una ragazza coi capelli neri portò le pizze nello Studio ovale, Clinton ringraziò e si mise a chiacchierare (forse ci stava già provando). Fu la prima volta che Clinton vide Monica Lewinsky.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi