La rincorsa delle Borse mondiali ai gioielli New economy. Tocca a Twitter
Eccola, finalmente, la quotazione in Borsa (o Ipo, Initial public offering) di Twitter, già annunciata con un cinguettio. Nessuna sorpresa, insomma. Anzi no, perché l’ultima meraviglia della Silicon Valley ha scelto di sfilare sulla passerella della Borsa (non si sa ancora quale, se il Nyse o il Nasdaq) con un look classico. Già dal prospetto, in cui non c’è spazio per i proclami tipo “operiamo per rendere il mondo migliore” o “creare una cultura più aperta” con cui si presentarono a Wall Street Google e Facebook. La missione di Twitter è più sobria: “Migliorare la comunicazione tra gli utenti”, nulla di più. Ma il colpo di scena è un altro
Eccola, finalmente, la quotazione in Borsa (o Ipo, Initial public offering) di Twitter, già annunciata con un cinguettio. Nessuna sorpresa, insomma. Anzi no, perché l’ultima meraviglia della Silicon Valley ha scelto di sfilare sulla passerella della Borsa (non si sa ancora quale, se il Nyse o il Nasdaq) con un look classico. Già dal prospetto, in cui non c’è spazio per i proclami tipo “operiamo per rendere il mondo migliore” o “creare una cultura più aperta” con cui si presentarono a Wall Street Google e Facebook. La missione di Twitter è più sobria: “Migliorare la comunicazione tra gli utenti”, nulla di più. Ma il colpo di scena è un altro: Twitter, a differenza di quanto hanno fatto finora tutti i big della New economy, ha rinunciato, al momento di entrare in Borsa, ad adottare la distinzione tra azioni di categoria A (nelle mani dei fondatori, con più diritti di voto) e di categoria B (con minor peso in materia di governance).
Insomma, Twitter vuol essere una società normale, a differenza di quel che è stata Apple prima di un aspro confronto con la Sec (l’Autorità di vigilanza della Borsa americana), o Facebook, Linkedin o Groupon. Oppure esempi illustri della Old economy, perché il “dual sharing” venne ammesso dal New York Stock Exchange nel 1988 su richiesta di General Motors. E continua ad avere il suo appeal, visto che consente di accoppiare i benefici della quotazione senza mettere a rischio il controllo anche con percentuali ben inferiori al 50,1 per cento. Tra i casi più recenti, la quotazione di Cnh Global, nata dalla fusione di Cnh e Fiat Industrial: Exor, che non a caso ha scelto domicilio legale in Olanda ove è permesso il dual sharing, può disporre della maggioranza dei voti anche senza avere la maggioranza assoluta del capitale. Il principio, giustificato al Nasdaq dalla volontà di favorire l’esordio in Borsa delle imprese guidate da giovani ricchi più di idee che di quattrini nell’intento di difendere gli innovatori dagli squali della finanza, scricchiola. Ha fatto rumore, al proposito, il gran rifiuto della Borsa di Hong Kong alla quotazione di Alibaba, il Google cinese che promette di diventare il primo motore di ricerca del pianeta. La Borsa dell’ex colonia britannica, pur impegnata in una corsa all’ultima Ipo per difendere da Singapore e da Shanghai il primato tra i listini d’Asia, ha detto “no” al listing di Alibaba che pure avrebbe accresciuto la capitalizzazione dello Stock Exchange di almeno 60 miliardi di dollari. Il motivo? Jack Ma, padre padrone di Alibaba, ha posto come condizione la possibilità di quotare azioni di serie A e B “come è avvenuto a suo tempo – ha precisato – per l’ingresso in Borsa di Google e Apple”.
Dopo aspro dibattito, però, Hong Kong ha deciso di non tradire le sue radici britanniche. Ora la decisione di Twitter, su cui ha certamente pesato la preoccupazione di cancellare qualsiasi associazione di idee con il pessimo esordio di Facebook (precipitato a suo tempo del 50 per cento dal primo prezzo), introduce una novità importante: la New economy può convivere con una governance che rispetti i diritti delle minoranze. Anche se Twitter, come i fratelli maggiori, si presenta in Borsa ricca di promesse più che di risultati: ricavi nel 2012 per 317 milioni di dollari e una perdita di 79 milioni. Nei primi sei mesi dell’anno, ricavi per 253 milioni di dollari e “rosso” a 69 milioni. Ma non è su questi numeri che si misurano le potenzialità della società di Jack Dorsey, Evan Williams e Jack Costolo. Contano semmai i 218,3 milioni di utenti mensili attivi, da papa Francesco a Justin Bieber (seguito da 44 milioni di follower). E quando si possono snocciolare cifre del genere, le eventuali scalate non fanno paura.
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