La danza di Cassano e il capo chino di Vives

Sandro Bocchio

Una danza non si nega a nessuno. Può essere quella che promuove un licenziamento a fenomeno virale per il sopravvalutato popolo del web, può essere quella che trasforma presunti volti noti in carne da televoto notturno più che in dignitosi ballerini. Meglio allora tenersi stretta la goffaggine di Antonio Cassano, espressa sul campo dopo aver segnato il 3-1 al Sassuolo. Un balletto sgraziato, con movenze da far inorridire Tony Manero e sensualità da invocare immediatamente Channing Tatum. Ma anche il modo più spontaneo per celebrare una giornata da classificare tra quelle buone.

    Una danza non si nega a nessuno. Può essere quella che promuove un licenziamento a fenomeno virale per il sopravvalutato popolo del web, può essere quella che trasforma presunti volti noti in carne da televoto notturno più che in dignitosi ballerini. Meglio allora tenersi stretta la goffaggine di Antonio Cassano, espressa sul campo dopo aver segnato il 3-1 al Sassuolo. Un balletto sgraziato, con movenze da far inorridire Tony Manero e sensualità da invocare immediatamente Channing Tatum. Ma anche il modo più spontaneo per celebrare una giornata da classificare tra quelle buone: due assist e un gol che hanno regalato al Parma una vittoria in inferiorità numerica. Colpi e idee che avrebbero dovuto essere costante di una vita professionale baciata dal talento e che invece si sono rivelati rari regali dispensati qua e là nell'esistenza calcistica dell'ormai stagionato ragazzo di Barivecchia.

    Eppure Cassano ci prova ancora, all'ennesimo tentativo di un'ennesima rinascita personale. Se si volta indietro sono tante le opportunità buttate via malamente per propria insofferenza alla disciplina imposta: dal dissidio (mortale) con Francesco Totti alla Roma alla maldestra imitazione di Fabio Capello al Real Madrid, dagli insulti sampdoriani al fu Riccardo Garrone alla terra bruciata creatagli intorno - con personale contributo concreto - sui due fronti milanesi. Forse Cassano era convinto di poter restare ancora all'Inter, forte di un contratto in scadenza nel 2014 e dell'arrivo di Walter Mazzarri, il tecnico con cui aveva lavorato con soddisfazione in un paio di anni blucerchiati. Un'illusione più che una speranza: a inizio luglio è già nell'elenco degli indesiderabili. E il nuovo tecnico nerazzurro viene perfidamente ricambiato al momento dell'addio: . Una nuova casa che Cassano fissa ancora una volta in provincia, per ricominciare come aveva fatto alla Sampdoria dopo il fallimento spagnolo. A Parma lo vogliono con insistenza, a Parma può essere sicuro di se stesso, a Parma lavora con Roberto Donadoni, che lo aveva chiamato con sé in Nazionale all'Europeo 2008: l'attaccante ritrovato non aveva giocato una sola partita, ma aveva riannusato l'ambiente azzurro negatogli dall'ostracismo di Marcello Lippi. E oggi Cassano sta provando a tornare Cassano. Per un senso di gratitudine che, tra alti e bassi, ha sempre dimostrato di saper provare e per il desiderio di avere un'ultima chance l'anno prossimo al Mondiale in Brasile, visto che Cesare Prandelli non gli ha chiuso la porta in faccia ma l'ha semplicemente accostata. Il derby contro il Sassuolo è un esempio di tutto questo. In altri tempi e in altre situazioni, i maligni avrebbero detto che il Parma avrebbe finito per giocare in nove e non in dieci, proprio per la presenza di Cassano. Lui, almeno questa volta, ha trasformato la situazione negativa in opportunità. E ci ha danzato sopra.

    A far da contraltare, il capo chino di Giuseppe Vives a Marassi mentre Giampiero Ventura gli sta impartendo davanti a tutti un cazziatone memorabile, uno di quelli che dovrebbero invece restare chiusi all'interno dello spogliatoio, secondo le regole non scritte dell'omertà pallonara. Il tecnico del Torino ha voluto anticipare i tempi, furibondo non (solo) per il rigore farlocco incassato a partita scaduta per il 2-2 della Sampdoria. Ma, soprattutto, per il modo in cui è nato. Perché nel calcio tutto ha sempre un'origine, specie se si tratta di un episodio negativo. Alcuni allenatori sono abilissimi a farla risalire a minuti, ore, addirittura giorni prima. La sfortuna di Vives è stata quella di esserne stato l'artefice da pochi secondi, con una punizione gestita in maniera maldestra e avversari pronti ad approfittarne per organizzare l'ultimo assalto, risultato vincente. Un erroraccio per chi nella vita ha sempre cullato ambizioni di regia e, soprattutto, gode della fiducia incondizionata del proprio allenatore. Ventura si è sentito tradito dalla leggerezza del centrocampista. E Vives, travolto da una incontrollabile furia verbale e gestuale, avrà pensato per un attimo che sarebbe stato molto meglio dedicarsi a una più tranquilla vita da ragioniere. Quella tentazione cui l'aveva strappato Zdenek Zeman ai tempi del Lecce, per ridargli una possibilità nel calcio importante dopo anni di basse categorie e parecchi infortuni. Ma sarà stata una questione, per l'appunto, solo di un attimo.