Un inizio di ottobrate che passerà alla storia, con manovre da stuntman

Mario Sechi

Alle 13 sono arrivati i panini. In quel momento s’è capito che tutto fila liscio, che la rivoluzione può attendere e il Termidoro è nel segno di Vanzina e non di Chateaubriand. E’ venerdì 4 ottobre, giorno della decadenza, anno 2013 dell’era berlusconiana, i lavori della giunta per le immunità del Senato sono rassicuranti, uno sberleffo istituzionale. Il senatore Vito Crimi, già capogruppo dei grillini, durante la discussione sul ghigliottinamento del Cav. s’affaccenda con Facebook e… zac! dice che la testa di Silvio cadrà. Crimi usa un linguaggio così melmoso da costringere l’agenzia di stampa Agi a tradurlo con un “riferimenti corporali”.

    Alle 13 sono arrivati i panini. In quel momento s’è capito che tutto fila liscio, che la rivoluzione può attendere e il Termidoro è nel segno di Vanzina e non di Chateaubriand. E’ venerdì 4 ottobre, giorno della decadenza, anno 2013 dell’era berlusconiana, i lavori della giunta per le immunità del Senato sono rassicuranti, uno sberleffo istituzionale. Il senatore Vito Crimi, già capogruppo dei grillini, durante la discussione sul ghigliottinamento del Cav. s’affaccenda con Facebook e… zac! dice che la testa di Silvio cadrà. Crimi usa un linguaggio così melmoso da costringere l’agenzia di stampa Agi a tradurlo con un “riferimenti corporali”. I liquami pentastellati macchiano tutto il plotone d’esecuzione, tanto che “i Renati” del Pdl risorgono e sullo schermo del computer brillano come ai vecchi tempi le saette della ditta Brunetta & Schifani.

    Sono solo bagliori, la giunta non cambia copione e vota sì alla decadenza, perché la storia s’è fatta e disfatta prima, in quel 2 ottobre che nella cronologia degli eventi sarà uno dei giorni del Ventennio, quello più lungo, la data del crac!, del rumore lungo e sordo, preludio alla caduta della diga, il mercoledì senza leoni del Pdl, il sì dismesso di Berlusconi. Si arriva a sfogliarlo sul calendario, quel giorno, con una serie di manovre da stuntman. Sabato (28 settembre) arriva ad Angelino Alfano (via Niccolò Ghedini, avvocato) l’ordine di dimissioni dei ministri e il Cav. commenta: “Ho invitato la delegazione del Popolo della libertà al governo a valutare l’opportunità di presentare immediatamente le dimissioni per non rendersi complici, e per non rendere complice il Popolo della libertà, di una ulteriore odiosa vessazione imposta dalla sinistra agli italiani”. Sono scoccate le sei della sera e si aprono i giorni dell’Iva. Pochi minuti dopo Alfano obbedisce (“i ministri del Pdl si dimetteranno”).

    Che la mossa di Berlusconi sia azzardata si capisce quando un fedelissimo di Silvio dichiara: “Questa decisione doveva essere discussa dall’ufficio di presidenza”. E’ la voce di Fabrizio Cicchitto, onda che prelude mare forza 7 nel Pdl. La mattina del 29 la nave azzurra è ormai fuori rotta. “Mi dimetto, ma non sarò in Forza Italia” (Beatrice Lorenzin, ore 12), “le elezioni anticipate sono un grave errore” (Gaetano Quagliariello, ore 12,01), “sarò fuori dal partito” (Mara Carfagna, ore 13,01), “basta con gli estremismi” (Maurizio Lupi, ore 15,31). Berlusconi improvvisamente è Napoleone a Waterloo, piove e c’è troppo fango per i cannoni. Alfano indossa la divisa di Wellington e muove le truppe al grido di “sarò diversamente berlusconiano”. Sono le 17,04 del 29 settembre. Lettura doppia del fatto: è il figlio che uccide il padre? No, forse è Enea che porta in spalla Anchise.

    Tramonta e albeggia, si fa 30 (settembre) ma non ci sarà il trentuno. Berlusconi va alla riunione dei gruppi parlamentari, è sempre arciconvinto che “l’esperienza Letta è finita”, dice che ha “deciso da solo”, senza pennuti intorno, parla di ministri che “temono una perdita di consensi”, ma tira dritto e all’indice alzato di Cicchitto che chiede diligentemente la parola risponde con un “vieni a cena” che resterà nella storia del galateo (im)politico. E’ lunedì, Dario Franceschini va a “Otto e mezzo” rivela che “so per certo che molti nella destra si stanno chiedendo se seguire Berlusconi o pensare al bene del paese”, ma nella war-room di Berlusconi nessuno presta attenzione al democratico bene informato, mentre a “Piazza Pulita” Corrado Formigli manda in onda una telefonata dove Berlusconi la spara grossa sulle manovre del presidente della Repubblica sulla Cassazione e il risarcimento a Carlo De Benedetti. Napolitano non la prende bene e dal Quirinale catapulta una nota infuocata (“invenzioni diffamatorie”). Sono le 21,36, la notte non porta consiglio e il martedì che inaugura l’ottobrata romana resta dello stesso segno e sogno, avanti con la sfiducia. In Germania osserva, e la Faz scrive che “l’Italia è di nuovo in difficoltà”, Alfano fa il pendolare tra palazzo Chigi e Palazzo Grazioli, Daniela Santanchè offre al segretario la sua testa “su un vassoio”, alle 16,43 spunta perfino la voce di “Marina Berlusconi pronta a scendere in campo”, Michaela Biancofiore chiosa la faccenda con un “spero che sia vero”, Luigi Amicone su Tempi pubblica una lettera di Silvio che ne ha per tutti, alle sei della sera la parola d’ordine è “via i traditori”, l’Esercito di Silvio profetizza un “polvere erano e polvere torneranno”, Roberto Formigoni dice che anche il Cav. “pensa alla fiducia” ma nessuno se lo fila, Alfano mantiene il punto e i due punti, si arriva alla vigilia a colpi di scimitarra (“vigliacco”, “picchiatore”) tra Sallusti e Cicchitto a “Ballarò”. Arriva mercoledì 2 ottobre, il B-day. Riassunto in tre flash: Brunetta annuncia a fine mattinata la sfiducia alla “u-na-ni-mi-tà”, Berlusconi poco dopo prende la parola e vota la fiducia, Enrico Letta commenta dal banco del governo: “Grande…”. E’ la fine, ma forse continua.