Liberisti di bandiera

Dietro le manovre minimal, il maxi ritorno del solito stato tuttofare

Alberto Brambilla

Dietro a una manovra fiscale minimal volta a contenere il deficit di bilancio, approvata mercoledì dall’esecutivo, c’è un’imponente manovra di stato. Sta infatti aumentando l’ingerenza del governo nelle più delicate crisi industriali nazionali riguardanti aziende private e acquista concretezza il coinvolgimento di società a partecipazione pubblica per limitare i danni. Da settimane il governo sta cercando una soluzione per salvare Alitalia dalla bancarotta e scongiurare il blocco immediato delle attività. E’ stato posticipato a oggi pomeriggio il cda che discuterà il futuro della compagnia aerea gravata da oltre un miliardo di debiti.

    Dietro a una manovra fiscale minimal volta a contenere il deficit di bilancio, approvata mercoledì dall’esecutivo, c’è un’imponente manovra di stato. Sta infatti aumentando l’ingerenza del governo nelle più delicate crisi industriali nazionali riguardanti aziende private e acquista concretezza il coinvolgimento di società a partecipazione pubblica per limitare i danni.
    Da settimane il governo sta cercando una soluzione per salvare Alitalia dalla bancarotta e scongiurare il blocco immediato delle attività. E’ stato posticipato a oggi pomeriggio il cda che discuterà il futuro della compagnia aerea gravata da oltre un miliardo di debiti. La speranza è di ottenere l’approvazione dei soci per un aumento di capitale da almeno 300 milioni di euro, quanto basta per garantire l’operatività nei prossimi mesi. Il ministro per le Infrastrutture e i Trasporti Maurizio Lupi ieri ha chiarito che sarà “fondamentale” l’apporto di risorse private. Senza liquidità fresca è anche seriamente compromessa la possibilità che la compagnia franco-olandese Air France-Klm, l’azionista più forte, acconsenta a incrementare la sua partecipazione in Alitalia. Per evitare un’ascesa dei francesi non gradita sono state chiamate in causa società pubbliche, dalle Ferrovie dello stato alle Poste italiane. Quest’ultima – con “soddisfazione” da parte di Palazzo Chigi – contribuirà alla ricapitalizzazione con 75 milioni di euro.
    Il presidente del consiglio Enrico Letta è sul punto di veder finire un altro asset strategico nelle mani di un concorrente estero dopo il takeover degli spagnoli di Telefonica su Telecom Italia. E il governo ora vuole proteggere la rete telefonica dalle mire spagnole con un provvedimento ad hoc (detto “golden power”), intervento considerato tardivo da molti osservatori.

    Nel vuoto lasciato dai capitalisti nazionali come Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo, che si stanno ritirando da Telecom, o dai soci italiani di Alitalia riluttanti a mettere quattrini perché fiaccati dall’operazione di salvataggio del 2008, è stato invocato l’intervento della Cassa depositi e prestiti, l’intermediario finanziario del Tesoro che gestisce i risparmi postali degli italiani. La Cdp sembra il “rifugio” buono per ogni partita a difesa del sistema industriale, ora che è venuto a mancare il ruolo assicurato negli anni scorsi da Mediobanca: cerniera tra le esigenze della politica, del credito e delle imprese. “Con la crisi economica nessuno degli attori che fecero da fulcro in quella fase può permettersi il lusso di mettere in piedi operazioni di sistema. A questo punto, non c’è altro che l’ipotesi di un intervento diretto della Cassa”, dice Luca Enriques, docente di Diritto commerciale alla Università Luiss di Roma e già consulente del Tesoro.

    Filogovernativi e in crisi d’identità
    La Cassa depositi e prestiti si sta dimostrando sempre più legata alle logiche governative. Con il suo Fondo strategico italiano (Fsi), venerdì scorso, ha comprato Ansaldo Energia da Finmeccanica per evitare che finisse ai coreani di Doosan, agendo su impulso del governo. Alcuni osservatori criticano questo passaggio (“da una casella dello stato a un’altra”) soprattutto perché Ansaldo è un’anomalia nel portafoglio di Fsi (dove ad esempio c’è Metroweb, società dei cavi in fibra ottica). Altre criticità sono invece emerse di recente con la “manovrina”: per abbattere il deficit di stato il fondo investimenti della Cassa (Fiv) acquisirà immobili pubblici del valore di 500 milioni di euro. Una misura emergenziale che contrasta con il ruolo di investitore di lungo termine della Cdp: con la stessa logica comprò Sace, Simest e Fintecna per 10 miliardi. “Ciò che non è chiaro – dice Angelo De Mattia, ex dirigente di Banca d’Italia – è la strategia, non si capisce qual è l’obiettivo di lungo periodo, cosa di cui si dovrebbe interrogare il Parlamento. D’altro canto rimane la non adeguatezza della qualifica di intermediario finanziario (ex. art 107 del testo unico bancario) alla concreta operatività svolta dalla Cdp”. La Cdp ha anche sostenuto le banche mettendo 5 miliardi a garanzia delle emissioni dei mutui e, secondo indiscrezioni, sarebbe in procinto di rilevare la maggioranza della Sia, società che gestisce le reti di trasmissione interbancaria, da Intesa, Mps, Unicredit e Bnp Paribas per 450 milioni. Per via della sua voracità la Cdp potrebbe rischiare di incrinare l’equilibrio finanziario di bilancio: il patrimonio netto, infatti, vale la metà delle partecipazioni (17,5 contro 33 miliardi); se fosse una banca a tutti gli effetti sarebbe fuori norma. Infine, siccome parte della liquidità è depositata al Tesoro (150 miliardi), drenare queste risorse ad libitum potrebbe costringere lo stato a emettere titoli di debito per compensare l’eventuale ammanco.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.