Vicissitudini e ambizioni di Sarmi, il “salvatore” di Alitalia
E’ intervenuto quando nessun altro voleva (o poteva) farlo. E’ stato leale, anche questa volta, con il Tesoro, il suo azionista di riferimento. Massimo Sarmi, da dieci anni amministratore delegato e direttore generale di Poste italiane, società pubblica al 100 per cento, ha dato alla disastrata Alitalia la possibilità di “continuare a volare” mettendo 75 milioni di euro nel capitale della società con un’operazione concertata con l’esecutivo e decisa (a sorpresa) giovedì sera. Erano stati invocati molti altri manager pubblici per scongiurare il fallimento della compagnia aerea.
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E’ intervenuto quando nessun altro voleva (o poteva) farlo. E’ stato leale, anche questa volta, con il Tesoro, il suo azionista di riferimento. Massimo Sarmi, da dieci anni amministratore delegato e direttore generale di Poste italiane, società pubblica al 100 per cento, ha dato alla disastrata Alitalia la possibilità di “continuare a volare” mettendo 75 milioni di euro nel capitale della società con un’operazione concertata con l’esecutivo e decisa (a sorpresa) giovedì sera. Erano stati invocati molti altri manager pubblici per scongiurare il fallimento della compagnia aerea: Paolo Scaroni dell’Eni non ha voluto fare sconti sulle forniture di carburante, Mauro Moretti delle Ferrovie dello stato si è sfilato, Bassanini e Gorno Tempini si sono impuntati (minacciando le dimissioni, scrive il Financial Times) per schivare una partita pubblica che avrebbe compromesso la credibilità della Cassa depositi e prestiti. Sarmi, uno dei manager pubblici più ricchi d’Italia, riservato, refrattario alle interviste televisive e parco con quelle alla stampa, da ex pilota dell’aeronautica ha invece “battuto i tacchi” come aveva già fatto in altre ère politiche, in quanto uomo dalle simpatie trasversali.
Ormai emancipatosi dall’ala finiana di Alleanza nazionale che l’ha cullato agli esordi, è ben visto sia a destra sia a sinistra. Ad esempio, si era messo a disposizione del ministero dell’Economia, allora guidato dal più leghista del Pdl, Giulio Tremonti, per costruire la Banca del sud (che ora presiede) con il know how che Poste aveva via via accumulato nel settore bancario, proprio quando le banche tradizionali erano riluttanti a investire nel mezzogiorno. Fu una “operazione di sistema”, con conseguenze forse meno significative di quella odierna: con l’ingresso nella partita Alitalia, Poste ha messo pressione sui soci italiani, i capitani coraggiosi, costringendoli a ricapitalizzare l’azienda e ha dato tempo all’esecutivo di trattare con i francesi di Air France-Klm per una cessione a prezzi non stracciati. Sarmi, in sostanza, ha garantito potere contrattuale al governo, e ne ha guadagnato a sua volta. Si è infatti scritto che “in cambio” potrebbe arrivare alla presidenza Telecom, ma a condizione di ottenere le deleghe operative dell’ex presidente esecutivo Franco Bernabè. Vorrebbe dire un ritorno alle origini per Sarmi, entrato nella compagnia telefonica quand’era di stato e si chiamava Sip e successivamente “scalata” fino alla presidenza dell’oramai “privatizzata” Telecom nel 2000 (poi la guida di Siemens Italia e Poste). “Tornando coronerebbe un sogno, e sarebbe una rivincita”, dice chi lo conosce bene. Ma non è affatto certo, secondo fonti al corrente della decisione. Una cosa importante Sarmi, però, potrebbe ottenerla comunque come riconoscimento per la fedeltà pluriennale dimostrata al suo azionista di riferimento: chi avrebbe il coraggio nell’esecutivo di privatizzare le Poste, e di farle a pezzi, dopo l’enorme favore fatto con Alitalia?
Sotto l’ombrello dello stato – il ruolo di monopolista di Poste è indiscusso, nonostante le plurime critiche dell’Antitrust per abuso di posizione dominante – l’azienda è cresciuta in settori diversi dalle spedizioni come quello creditizio e della telefonia. E’ una commistione nata con la gestione del banchiere Corrado Passera, ideatore di Banco Posta, e del suo successore, l’ingegner Sarmi, ideatore del servizio di telefonia Poste Mobile, con la sapienza appresa dai tempi della Tim (l’innovazione tecnologica è il suo “pallino”). E le due branche del gruppo sono la fonte principale di guadagno. Siccome altre attività delle controllate invece languono, banche e telefoni sarebbero l’asset “buono” da mettere sul mercato in caso di privatizzazione, ma vorrebbe dire lasciare nell’azienda pubblica il “brutto”, cioè le trascurate spedizioni postali. Ora Sarmi ha una sicurezza in più affinché ciò non accada.
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