L'esempio del San Raffaele
Tagliare la Sanità è possibile, chi lo ha fatto è andato in pareggio
Risparmiare nella Sanità è possibile, basta volerlo. L’esempio arriva dal bistrattato ospedale San Raffaele di Milano, simbolo del “crac” sanitario più clamoroso degli ultimi anni. La spinta per il risanamento in corso è dello scomparso imprenditore della Sanità lombarda, Giuseppe Rotelli, che rilevò l’istituto nel dicembre 2011. Per una macabra coincidenza Rotelli vinse la gara d’acquisto lo stesso giorno in cui morì don Luigi Verzé, il presbitero veronese che fondò il primo polo sanitario della regione più ricca d’Italia e lo gestì in maniera draconiana (con investimenti milionari ma infruttuosi) creando debiti superiori al miliardo di euro.
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Risparmiare nella Sanità è possibile, basta volerlo. L’esempio arriva dal bistrattato ospedale San Raffaele di Milano, simbolo del “crac” sanitario più clamoroso degli ultimi anni. La spinta per il risanamento in corso è dello scomparso imprenditore della Sanità lombarda, Giuseppe Rotelli, che rilevò l’istituto nel dicembre 2011. Per una macabra coincidenza Rotelli vinse la gara d’acquisto lo stesso giorno in cui morì don Luigi Verzé, il presbitero veronese che fondò il primo polo sanitario della regione più ricca d’Italia e lo gestì in maniera draconiana (con investimenti milionari ma infruttuosi) creando debiti superiori al miliardo di euro.
“Dobbiamo mettere in ordine le casse”, disse Rotelli due mesi dopo l’acquisizione in una riunione conoscitiva con la prima linea dell’ospedale, tra dirigenti e funzionari. Era un’intenzione che ha preso corpo quattro mesi dopo, a maggio. Sono stati mesi di sit in da parte dei lavoratori e dei sindacati. Rotelli decise di tagliare del 9 per cento i salari e del 25 per cento i costi dei servizi alberghieri (pulizie, mensa, cambio lenzuola) e per le forniture biomedicali, da quelle meno costose come i guanti sterili e le garze per finire con quelle più sofisticate come i peacemaker e le cannule chirurgiche. La stragrande maggioranza dei fornitori ha accettato e nessuno è fallito (anche perché, in sede di concordato, avevano ricevuto il 75 per cento dei crediti vantati nei confronti della gestione Verzé). La logica delle misure andava nella direzione della razionalizzazione dei costi. Basta un esempio: a cosa servono 12 tipi di stent (dilatatori venosi e arteriosi) quando per le operazioni ordinarie ne bastano 4, come fanno in America? Era un lusso, non necessario, che servì alla precedente gestione per alimentare un meccanismo opaco nei confronti di alcuni – selezionati – fornitori. La gestione Rotelli non poteva permettersi un decimo di quegli sprechi, aveva “fuso” il San Donato con il San Raffaele creando un colosso ospedaliero da 5 mila posti letto. Attraverso i tagli la “nuova” struttura ha risparmiato oltre cinquanta milioni di euro, ha fatto economie di scala comprando meno tipologie di prodotti, in identica quantità rispetto a prima ma con maggiori sconti, e adesso è vicina a raggiungere almeno il pareggio gestionale; non quello di bilancio a causa dei tagli ai finanziamenti pubblici verso la Sanità privata convenzionata. “Al netto dei tagli pubblici il pareggio di bilancio sarebbe a portata di mano”, dice al Foglio una fonte vicina al dossier.
E’ possibile replicare l’esperienza del San Raffaele a livello nazionale? Il commissario alla spending review del governo Monti, Enrico Bondi, aveva tentato di farlo dopo avere scoperto sprechi per 3,7 miliardi nell’acquisto di beni e servizi non sanitari (il 26 per cento della spesa totale) e 2,3 miliardi nell’acquisto dei dispositivi medici (uno spreco del 33 per cento sul totale). Sono cifre rivelate da Franco Bechis su Libero del 17 ottobre 2012. L’opera del supercommissario non è stata completata, c’è dunque spazio per tagliare. Perché non si fa? L’economista dell’Istituto Bruno Leoni, Lucia Quaglino, non si stupisce del turnaround del San Raffaele (“se così non avesse fatto, avrebbe dovuto ridurre il volume degli acquisti e, quindi, la qualità dei servizi offerti col rischio di perdere pazienti”) ma è scettica sul fatto che il sistema pubblico operi come quello privato perché è sussidiato dallo stato e diretto dalla politica: “Per quale motivo una struttura pubblica dovrebbe perseguire la riduzione delle spese, considerato che, in caso di bisogno, lo stato interverrebbe per sanare eventuali deficit di bilancio? Se poi, peraltro, i dirigenti sono nominati dai politici e a questi devono rispondere sarà difficile replicare il modello imprenditoriale”, dice Quaglino, coautrice del saggio “La spesa sanitaria italiana” (Ibl Libri editore).
Tagliare per tagliare fuori la politica
“C’è troppa Sanità, non troppo poca, e il San Raffaele lo dimostra. Tagliare serve come unico modo per costringere le regioni eliminare gli sprechi che rendono la Sanità un centro di potere politico, per questo la crisi è un’opportunità incredibile a difesa della salute dei cittadini”, dice Marcello Crivellini docente di Organizzazione sistemi sanitari al politecnico di Milano. Il governo Letta non taglierà la spesa sanitaria per i prossimi tre anni. Eppure il margine è ampio se si pensa alla recente denuncia dei radiologi italiani (una radiografia su tre è inutile), a quella del direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, Silvio Garattini, secondo il quale il 50 per cento dei farmaci in circolazione “può essere eliminato”, e alla sovraospedalizzazione (il 10 per cento dei letti è superfluo). Studi internazionali dimostrano che la spesa sanitaria incide solo per il 15 per cento sulla salute complessiva della popolazione, è lo stile di vita a fare (quasi) tutto il resto. Per questo gli allarmi sui tagli sono parole al vento.
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