Gratitude

Annalena Benini

Quando Lorenzo Cherubini era un bambino, a Roma, negli anni Settanta, suo padre portava a casa la Settimana Enigmistica. A Lorenzo piaceva il gioco dei puntini: unisci i puntini dall’uno al sessantasette, che cosa apparirà? Lui vedeva comparire un razzo stratosferico puntato verso gli anni Ottanta, e negli anni Ottanta ha cominciato a lavorare la notte come dj e a cambiare l’ordine dei puntini, per fare uscire fuori qualcosa di diverso. La madre lo chiamava “fischino”, perché quando tornava a casa saliva le scale fischiando: “Lei pensava che lo facessi perché ero allegro, ma io lo facevo prima di tutto perché fosse allegra lei, nel sentirmi”.

    Quando Lorenzo Cherubini era un bambino, a Roma, negli anni Settanta, suo padre portava a casa la Settimana Enigmistica. A Lorenzo piaceva il gioco dei puntini: unisci i puntini dall’uno al sessantasette, che cosa apparirà? Lui vedeva comparire un razzo stratosferico puntato verso gli anni Ottanta, e negli anni Ottanta ha cominciato a lavorare la notte come dj e a cambiare l’ordine dei puntini, per fare uscire fuori qualcosa di diverso. La madre lo chiamava “fischino”, perché quando tornava a casa saliva le scale fischiando: “Lei pensava che lo facessi perché ero allegro, ma io lo facevo prima di tutto perché fosse allegra lei, nel sentirmi”, era un piccolo spettacolo solo per lei, per farla sorridere, e da allora Jovanotti non ha mai smesso di fare spettacolo, di diventare uno spettacolo, anche quando suo padre, a cui piaceva invece risolvere i cruciverba più difficili della Settimana Enigmistica, quelli delle ultime pagine, gli gridava: ma che mestiere è il disc jockey? “Lo so io che mestiere è, aspetta e vedrai”. Aveva tutta quell’energia addosso, ma anche la quieta convinzione che non c’è fretta, che a volte le cose vanno male ma solo per andare meglio ancora, che la realtà quando prende la rincorsa deve fare qualche passo indietro.

    In questo libro, “Gratitude” (Einaudi), Jovanotti racconta il temporale che lui è, da venticinque anni, da quando registrò “La mia moto” durante il servizio militare, carrista, puntatore destro che non sapeva cantare, non sapeva suonare nessuno strumento, ma voleva diventare musica, tirare fuori la cosa disordinata che aveva dentro, scoprire ogni volta (anche adesso, che è il re) qualcosa di nuovo, che facesse impazzire tutti, farli ballare alla finestra, farli telefonare a una ragazza, ma soprattutto farli stare bene (“se deve essere una stella, che sia una cometa”). Non c’è mai un minuto o una parola di disincanto, in Jovanotti. E’ come se tutto fosse davvero possibile, semplice, pazzo ma giusto. E non c’è uno sguardo dall’alto. “Nel mondo delle opinioni, volevo che il mio spettacolo non fosse un’opinione ma un racconto senza giudizio, una frontiera epica della modernità”. Lui si fa fotografare con il libro in mano e indossa la maglietta del tour di Julio Iglesias, ringrazia Giovanni Lindo Ferretti, canta “Raggio di sole” e si sente come Gianni Morandi, racconta che la sua storia artistica si divide in prima e dopo l’incontro con Francesca, sua moglie: “E’ come se a un certo punto mi fosse spuntata un’ala, o una ruota, o un nuovo paio di antenne aggiuntive, come se avessi scoperto una parte della mia vita che stava sigillata in qualche stanza e che lei ha aperto”.

    Da quando c’è lei, tutte le canzoni parlano di lei. Da quando c’è lei, niente è più importante dell’amore, anche quando Jovanotti è completamente dentro la preparazione di un disco, di un tour e non pensa ad altro, e allora Francesca lo prende da parte e gli dice che lei se ne va o se ne deve andare lui (seguono epiteti), e lui si visualizza in un residence con serigrafie astratte alle pareti e gli manca il respiro. E intanto vive, e si tiene distante dalle opinioni: “Cerco l’esperienza e cerco la poesia delle cose ma non sono interessato al giudizio e nemmeno alla ragione, è la vita che mi attrae e non la sua correttezza o la sua giustificazione, che tra l’altro non c’è”. Gli piace scombinare i puntini. E’ così che gli è riuscita quella cosa miracolosa e ambiziosa, che insegue da sempre, anche quando non sapeva di inseguirla: non occupare uno spazio, ma esserlo.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.