Il nazista perfetto

Stefano Di Michele

Praga dalle dita di pioggia” (oggi però è chiara mattina di primavera). Curva di via Holesovice, quartiere di Liben. Mercoledì 27 maggio 1942. Cinque uomini, una Mercedes (nera, pare; c’è chi dice: verde scura; scoperta, comunque), due tram, tre biciclette. E’ il momento esatto in cui una bomba vola nell’aria ed esplode vicino alla ruota posteriore destra. La macchina si alza di un metro. Fumo. Una giacca da SS vola nell’aria e finisce appesa – come un nero sparviero – sui fili elettrici del tram. Succederà di tutto, tra poco.

    “Da Praga giunge una voce allarmante” (Diario di Goebbels, 28 maggio 1942)
     
    “E’ venuto a uccidere Heydrich?” (Laurent Binet, “HHhH”, Einaudi)


    Praga“Praga dalle dita di pioggia” (oggi però è chiara mattina di primavera). Curva di via Holesovice, quartiere di Liben. Mercoledì 27 maggio 1942. Cinque uomini, una Mercedes (nera, pare; c’è chi dice: verde scura; scoperta, comunque), due tram, tre biciclette. E’ il momento esatto in cui una bomba vola nell’aria ed esplode vicino alla ruota posteriore destra. La macchina si alza di un metro. Fumo. Una giacca da SS vola nell’aria e finisce appesa – come un nero sparviero – sui fili elettrici del tram. Succederà di tutto, tra poco. Tra un secondo appena, due, tre, quattro, cinque – la giacca dondola ancora sui fili, instabile sparviero. Ma nel secondo numero zero che è adesso, serve concentrare l’attenzione sull’uomo che siede sul sedile posteriore della Mercedes. Non è un uomo qualunque – piuttosto il “cuore di tenebra” nel cuore tenebroso dell’universo hitleriano: il Reichsprotektor, l’SS-Obergruppenführer Reinhard Heydrich, “l’uomo più pericolo del Terzo Reich, il boia di Praga, il macellaio, la bestia bionda, la capra, Süss l’ebreo, l’uomo dal cuore di ferro, la peggiore creatura mai forgiata dal fuoco ardente dell’inferno”. Ancora un momento, mentre la giacca (certo del Reichsprotektor) s’immobilizza sul filo (forse brucia) e il fumo provocato dalla scoppio comincia a svaporare: allora una capra e un ebreo e un cuore di ferro – oltre a tutto il resto, il boia, la bestia, ecc. ecc.? Dalla curva di Holesovice bisogna tornare indietro di qualche decennio, a un aula di scuola della città di Halle. “Reinhard Heydrich!”, chiama il maestro. “Si chiama Süss!”, urlano sfottenti i suoi compagni di classe. Perché sua nonna si è risposata con un ebreo – e la Germania guglielmina che si appresta a crepare certe cose fa fatica a comprenderle, così fatica che quella hitleriana che verrà certe cose le divorerà e le brucerà. “La capra!”, urlano pure, insistenti e crudeli, i compagni del piccolo Reinhard – che ha voce stridula, belante, ovina. Il cuore di ferro, invece, bisogna andarlo a raccattare a qualche mese di distanza dalla curva di via Holesovice. E’ il Führer in persona a decorare l’ex capra Reinhard, mutato nel più marziale Reynard, del metallico battito – “l’uomo dal cuore di ferro”, che poi che razza di cuore è, un cuore di ferro, minacciato dalla ruggine anziché dai sentimenti? Non è un cuore, quello di ferro. E infatti, si provò – altri sulla loro pelle lo provarono: Heydrich cuore non aveva. Era il Nazista Perfetto.

    Mentre, come la giacca da SS in volo dentro la mattina di via Holesovice, la salma di Erich Priebke vaga sepolta/insepolta/respinta/nascosta/assediata/calciata/difesa/occultata/integra/cremata – una prece, un Heil Hitler!, sempre e sempre di troppo, rabbia, lacrime, testamenti, video, vae victis: già, ma i vinti di allora ebbero guai ben più atroci – incerta su dove posarsi e dove definitivamente disfarsi, ecco che insieme si riaffaccia la figura di Reynard Heydrich. Non sono paragonabili, i due: non solo perché Priebke è morto di quieta (quieta?) vecchiaia, l’ultimo respiro banalmente davanti al televisore, ma perché di tutto quell’universo di tenebra che fu il nazismo Priebke fu una rotella e una rivoltella, uno dei tanti volenterosi carnefici, solo un filo d’ombra tra i milioni delle tenebre, mentre di quelle tenebre Heydrich fu il sole – ché pure le tenebre hanno necessità di luce inquietante, così da rendere accecante la loro oscurità. Il nazista qualunque e il Nazista Perfetto. E’ appena uscito un libro. E’ molto bello. E’ molto strano. Si intitola “HHhH. Il cervello di Himmler si chiama Heydrich” (Einaudi). Lo ha scritto Laurent Binet – ha fatto il militare in Slovacchia, ha vissuto molto a Praga, di Praga si innamora, “lo scenario più bello del mondo”. E a Praga, dopo che suo padre gliene aveva parlato da bambino, incontra di nuovo e sempre il macellaio, la bestia, il boia. Diviene la sua ossessione, la sua ricerca continua – cerca la sua testa, il suo cervello, i suoi pensieri; cerca la testa e il cervello e i pensieri delle sue vittime; cerca la testa e il cervello e i pensieri di quelli che sono in via Holesovice quella mattina di maggio e al cuore di ferro che si presume immortale (se dall’antiruggine adeguatamente protetto) mirano. I viaggi, le ragazze, gli amori, gli studi, gli amici, la divisa militare – e sempre e ovunque lui: Heydrich, il cervello di Himmler, il cuore di ferro, il Protettore di Boemia e Moravia, l’ideatore del Grande Massacro. Lui che raccoglie le firme sotto l’Ermächtigung, l’Autorizzazione, mentre Göring gioca con i suoi trenini. Lui, il padrone di casa a Wannsee, appena pochi mesi prima della mattina di Praga, quando il sangue di milioni di creature umane che già scorreva a fiumi divenne un mare. Lui che raccatta i perfetti sottoposti, “quel piccolo Hauptsturmführer austrico così bravo, Adolf Eichmann, è proprio la persona giusta” – il male immenso e così banale. E quel sospetto di essere anch’esso mezzo ebreuccio, ahi! ahi!, con quella nonna sconsiderata – e il peso di un ricatto che attraversò tutta la sua ascesa dentro le tenebre? Macché, niente. Ne godeva, anzi, il Führer. “L’ironia della sorte vuole che abbia sangue ebreo, secondo Himmler. Ma la palese violenza con cui combatte e soggioga quella parte corrotta di se stesso dimostra, agli occhi di Hitler, la superiorità dell’essenza ariana su quella ebraica. E se Hitler lo ritiene davvero di origine ebraica, per lui è una soddisfazione ancora più grande farne l’angelo sterminatore del popolo di Israele affidandogli la responsabilità della Soluzione finale”. Il Führer ha fiuto per la follia e la devozione. A Himmler dirà, dopo aver incontrato Heydrich la prima volta: “Quell’uomo è straordinariamente abile e straordinariamente pericoloso. Saremmo sciocchi a rinunciare ai suoi servigi”. Horst-Wessel-Lied. Hitler aveva finalmente trovato il suo Nazista Perfetto.

    Perfetto in tutto, il camerata Heydrich. Per il cuore di ferro – solido, persino più del cuore di pietra. Per l’aspetto. Già, l’aspetto. Heydrich è alto, è biondo, è magro. Sembra il modello di un manifesto della razza, sembra razza scelta, selezionata, rassettata. Un vero fusto hitleriano, stretto nella divisa che cinge i pettorali in un fiorire lussurioso di allori, medaglie, fulmini, aquile, croci di ferro, ordine teutonico, insegna d’oro del partito, mostrine, dorature varie – pur se Laurent Binet, che nel vagare praghese ha avuto modo di fissarlo bene, qualche dubbio esprime, “labbra carnose, senza dubbio non prive di una certa sensualità ma di tipo quasi negroide, nonché un lungo naso aquilino che potrebbe benissimo passare per adunco se appartenesse a un ebreo. Aggiungete grandi orecchie piuttosto a sventola e un viso allungato sul cui aspetto equino tutti concordano, e si ottiene un risultato che non è necessariamente brutto ma che comunque si discosta non poco dagli standard di Gobineau”. Ma fa lo stesso un figurone, “nell’immaginario dei turiferari del Terzo Reich Heydrich è sempre stato considerato l’Ariano ideale” – ancor di più se paragonato con gli altri con la fissa della razza perfetta/eletta/superiore: quel trippone vanesio di Göring, il piede di Goebbels, il defunto (per mano dei camerati) Ernst Rohm “con il suo pancione, la testa grossa, gli occhietti infossati, il collo massiccio, circondato da un cuscinetto di grasso”, il solito Hitler col baffo a francobollo, e infine il suo diretto superiore Himmler, il capo delle SS – e fanno i due una strana coppia, avanspettacolo se non fosse cupa tragedia, “da una parte il biondo in uniforme nera, alto, faccia equina, voce acuta, stivali lustri; dall’altro un piccolo criceto occhialuto, castano scuro, baffi, aspetto tutto sommato assai poco ariano”. Un serraglio dove Heydrich primeggia – giusto Albert Speer gli tiene testa, “ha talmente più classe, talmente più stile, con i suoi completi di buon taglio, talmente più disinvoltura in tutte le situazioni”. Scrive Binet: “Quando si pensa al fisico degenerato della maggior parte dei dignitari nazisti – e Gobbels, con il suo piede deforme, è uno dei più begli esemplari –, si può ridere pensando a quel timore di ‘indebolire la razza’ che tanto li tormentava. Ma per Heydrich, ovviamente, è diverso. Lui non è un nanerottolo bruno, e il suo fisico inalbera il vessillo della germanità”, tale e quale i manzi olimpionici immortalati dal genio visionario di Leni Riefenstahl – e pazienza per quel sospetto osceno e imbarazzante di qualche goccia di sangue giudio che potrebbe scorrere dentro la perfetta carcassa teutonica. Come scrive ammirata la rivista Ginnastica ed educazione fisica dopo un eccellente torneo di scherma, “chi lo conosce bene sa che per lui il riposo è un concetto sconosciuto. Non concedersi né riposo né distensione: è questo il suo principio fondamentale, che si tratti di sport o di servizio”.

    Ché anzi, nel servizio il camerata Heydrich meglio che sulla pedana se la cava. Con i giudei, ecco, certo non va di fioretto – azzanna, piuttosto. Le botte, le pallottole, la geniale soluzione del gas e dei forni: germanico l’aspetto e germanica l’efficienza. Le sue Einsatzgruppen uccidono, massacrano, colmano fosse comuni su fosse comuni – dove la vittima cala, nuda, e deve prima sistemare i cadaveri sotto di sé, poi nuda si adagia e aspetta il colpo finale, e avanti un’altra e un’altra e un’altra ancora… “Notevole taylorizzazione della morte di massa”. E’ tanto, è ben fatto, camerata! Ma non è abbastanza – di questo passo, quando ci vorrà per far fuori tutti gli ebrei, e metteteci pure gli zingari e i froci? Sì, l’impegno non manca, teutonica dedizione, così che l’Einsatzgruppe a Babi Yar poteva orgogliosamente far rapporto: “Il Sonderkommando 4°, con la collaborazione dello stato maggiore del gruppo e di due commando del reggimento Sud di polizia, ha giustiziato a Kiev 33.771 ebrei, il 29 e 30 settembre 1941”, ma lo stesso è poco, lo stomaco è ingordo e sempre vuoto risuona. E così tanti inconvenienti! Persino quando fu escogitata la soluzione di asfissiare le vittime dentro i camion, con il monossido di carbonio del tubo di scarico – passo avanti, e poi quell’aspetto divertente dei cadaveri che diventano rosa, si colorano morendo: ma le vittime disgraziatamente tendono a defecare nel momento della morte, e c’è giusto questo raccapricciante spettacolo da vedere: tedeschi che devono spalare dopo ogni mattanza merda ebraica dal camion. E persino uno dell’Einsatzgruppen può avere cuore – che mica tutti ce l’hanno di ferro e dal Führer in persona certificato. Certi hanno questo barlume di cuore, altri persino lo stomaco debole – e vomitano, mentre i piedi affondano nel sangue altrui.

    Addirittura Himmler svenne una volta, colpito dagli schizzi del sangue delle vittime. Nientemeno lo Standartenführer delle SS Paul Blobel – quello dell’encomiabile servizio a Babi Yar – “sta diventando pazzo… è come Macbeth che vede i fantasmi delle sue vittime”. Tutti quei poveri morti (33.771, si annoti nella scheda di merito) sono stati seppelliti in terra sbagliata, molle. “Fuma, alcune zolle saltano come tappi di champagne, mentre dal terreno esalano bolle prodotte dai corpi in decomposizione”. Urla, lo Standartenführer Blobel: “Ecco dove riposano i miei trentamila ebrei!”. Beve, lo stesso non dimentica. Si presenta da Heydrich, che lo assale: “Così, le è venuto il mal di pancia. Lei è un debole. E’ diventato un frocio. Ormai la si può solo mandare in negozi di porcellane!”. Avrà avuto pure un cuore di porcellana, l’assassino che si è dato all’alcol. Ma Heydrich no, lui mai – né la pancia gli duole né il cuore gli sussulta né frocio diventa. “Heydrich ha assistito, in compagnia di Himmler, o di Eichmann, o di Müller, a molte di quelle esecuzioni. Una volta una giovane donna gli ha teso il suo neonato perché lo salvasse. La madre e il figlio sono stati abbattuti proprio davanti a lui”.

    Annuncia, un giorno: “Stanno per arrivare soluzioni più vaste, più perfezionate e in grado di garantire un maggior rendimento” – in morti, si capisce: rendimento. Dice: “E’ stata sentenziata la condanna a morte di tutti gli ebrei d’Europa”. Tutti. E’ Auschwitz, è Buchenwald, è Dachau – è lo sprofondare nel buio totale. “Vertigine dell’oratore che deve parlare dell’innominabile. Ebbrezza del mostro nell’evocare mostruosità che si annunciano e di cui è l’araldo”.
    E’ Praga, Reichsprotektor di Boemia e Moravia – satrapia hitleriana: per la felicità, dopo la conquista, il Führer mangiò prosciutto e bevve birra Pilsner, pur se vegetariano e quasi astemio. Le vetrine dei negozi vomitano: “Ciste arijsky obchod”, puramente ariano; le birrerie esortano: “Zàdá se zdvorile by se nehovorilo o politice”, astenersi dal parlare di politica (scemenze ormai continentali). Vuole far togliere la statua dell’ebreo Mendelssohn dal tetto del teatro dell’opera – ma vai a sapere qual è. Quella col naso più grosso, si dicono furbi i demolitori delle SS – e cominciano a picconare Wagner. Lui, individuato il compositore da mandare al macero, farà pure eseguire un concerto per pianoforte scritto da suo padre Bruno – “la musica è soprattutto la massima espressione della produzione culturale della razza tedesca”, spiega ai plaudenti. Eccidi. Arresti. Paura. Torture. Sangue. Paura. Spie. Il Golem, che doveva proteggere Praga, non si è visto. Heydrich si duole per gli “atti di maleducazione, o le scortesie” – non amato, non abbastanza amato, si sente dalle vittime. Poi, scesero uomini dal cielo. Mica angeli – paracadutisti. Due: uno slovacco e uno ceco, Jozef Gabcík e Jan Kubis. Un altro è già a terra: Josef Valcík. Si nascondono, progettano, s’innamorano, baciano ragazze dalle labbra rosse, bevono birra, osservano la belva da lontano. “Siete venuti a uccidere Heydrich?”. “Operazione Antropoide”, si chiama. Un altro di loro tradirà: Karel Curda. Venti milioni di corone. A parte Curda, gli altri tre stamattina, mercoledì 27 maggio 1942, sono vicino a questa curva di via Holesovice. C’è Heydrich, sulla Mercedes nera, “guizza sulla strada come un serpente”, che scende diretta verso il Castello, verso il suo luogo di comando. Il quinto uomo è il suo autista/guardia del corpo, l’SS-Oberscharführer Klein. Ecco, la macchina è arrivata a tiro. Gabcík spara, e il suo Sten s’inceppa. Il boia e il suo giustiziere si fissano, muti. Kubis lancia la granata. Botto. Giacca che vola. Ci siamo.

    Sarà complicato, far morire il boia di Praga – der Henker von Prag. Inseguimento, sparatoria, fuga in bici. Heydrich non muore per la bomba, si alza, comincia a sparare. Spara Klein. Sparano i paracadutisti patrioti. Heydrich crolla a terra. Ospedale. Forse ce la fa. Chissà. Ha la pelle dura. No, macché, si infetta pure lui – per il crine dei cavalli contenuti nell’imbottitura della Mercedes penetrato nelle ferite, si dice. Cancrena gassosa. “Per salvare Heydrich ci vorrebbe una cosa che il Reich non possiede in nessuna regione del suo immenso territorio: la penicillina”. La reazione sarà tremenda. L’innocente villaggio di Lidice massacrato, distrutto, cancellato dalla faccia della terra. Tutti gli uomini sotto i sedici anni fucilati sul posto, donne e bambini nei campi di concentramento, “tranne una manciata, ritenuti adatti alla germanizzazione, che saranno adottati da famiglie tedesche”. Persino i cani del paese vengono tutti ammazzati – non ritenuti adatti alla germanizzazione. Come ragni, le SS dilagano in tutta la città. I paracadutisti hanno trovato rifugio nella cripta della chiesa dei santi Cirillo e Metodio, tra i loculi dove riposavano i cadaveri dei monaci, nascosti da padre Petrek, prete ortodosso. Eccoli, adesso ci sono ottocento SS all’assalto della piccola chiesa. “Attacke! Attacke!”. Sparano, lanciano bombe, gettano acqua nella cripta. Si suda dentro i cappotti di pelle, che di pelle morta ora puzzano. Otto ore per averla vinta – chi non viene ucciso, si ammazza prima di cadere nelle mani dei tedeschi. Ma a soli trentottto anni il boia di Praga è morto – perché non aveva la penicillina, e per il pelo di un cavallo. Forse il Golem è arrivato.

    Il più clamoroso attentato di tutta la Seconda guerra mondiale. Così clamoroso che nessuno lo credeva possibile. Funerali grandiosi per Heydrich, a Berlino. Dirà il Führer: “Che un uomo insostituibile come Heydrich esponga inutilmente al pericolo la sua persona è una cosa idiota e stupida!”. Nazista perfetto – con sbavatura finale. Lo sostituirà l’Oberstgruppenführer Kurt Daluege – all’appena defunto detto “l’imbecille”. Lo onoreranno con quella che fu chiamata “Operazione Reinhard”: la costruzione dei primi tre campi di concentramento nazista. Onore appropriato. “E’ incredibile fino a che punto, nella storia del Terzo Reich, e particolarmente in ciò che essa ha di più terrificante, al centro di tutto si ritrovi sempre Heydrich”, scrive Binet. E’ il 27 maggio 1942. Esattamente tre anni prima Joseph Roth è morto di alcol e dolore a Parigi: “Che brulichio in questo mondo, un’ora prima della sua fine!”. Però nel cuore di tenebra, adesso c’è un filo di luce.