La settimana del Convocato (non è Balotelli, ma lo trattano peggio)

Mario Sechi

E’ la settimana del convocato. E non parliamo di Cesare Prandelli che chiama Mario Balotelli. No, si tratta della Corte d’assise di Palermo che ha ammesso la richiesta dei pm che vogliono la testimonianza di Giorgio Napolitano al processo mafia-stato. La notizia arriva giovedì 17 ottobre e in un paese normale diventerebbe il fatto numero uno in agenda, si aprirebbe una pubblica discussione sull’autonomia della politica e i limiti del potere giudiziario. E invece, a eccezione del Foglio, nessuno stormir di fronda, tutto regolare. In fondo, l’eccezione di Napolitano non fa che confermare quel che due giorni prima (martedì 15 ottobre) è consuetudine per Berlusconi: il Senato discute sul voto palese al posto del regolamentare voto segreto sulla decadenza.

    E’ la settimana del convocato. E non parliamo di Cesare Prandelli che chiama Mario Balotelli. No, si tratta della Corte d’assise di Palermo che ha ammesso la richiesta dei pm che vogliono la testimonianza di Giorgio Napolitano al processo mafia-stato. La notizia arriva giovedì 17 ottobre e in un paese normale diventerebbe il fatto numero uno in agenda, si aprirebbe una pubblica discussione sull’autonomia della politica e i limiti del potere giudiziario. E invece, a eccezione del Foglio, nessuno stormir di fronda, tutto regolare. In fondo, l’eccezione di Napolitano non fa che confermare quel che due giorni prima (martedì 15 ottobre) è consuetudine per Berlusconi: il Senato discute sul voto palese al posto del regolamentare voto segreto sulla decadenza. Regola ad personam. Applausi. Nel diritto che si fa rovescio, c’è una settimana politica degna del surrealismo canoro di Sergio Caputo: “E l’astronave che arriva / vira e ammira / il panorama che c’è quaggiù”. Uno spettacolo volante che fa dire ad Angelino Alfano: “Non sono appassionato di ornitologia, chiuderò in gabbia falchi e colombe” (dalla provincia di Prato, sabato 12 ottobre, post prandium), mentre il professor Rodotà (tà-tà) va in piazza e dichiara sobriamente che “la Costituzione è stata sequestrata dalla politica”, mentre le agenzie informano che un “camioncino diffonde musica varia” e c’è un altro democratico cartello che accusa Napolitano di tradimento. Fiomizzazione totale della politica e oplà, è la rivoluzione, bellezza. Il virus coglie preparatissimo Matteo Renzi che in piena trance agonistica dichiara: “Prima ero un appestato ora sono un eroe”. Sicuro? Il povero Letta (Enrico) prova a rispondere alle bordate del sindaco di Firenze: “Difendo il lavoro che facciamo”. Ma va? Cresce il desiderio di una domenica liberatoria, ma incombe la Repubblica delle Idee e il ministro Zanonato ci casca in pieno: “Renzi è come Grillo”. Sono le 12 e 57, pastasciutta, bistecca, shiraz, forse l’“Arena” di Giletti… no! niente da fare, zapping rinviato, c’è di nuovo l’artigliere Renzi che precisa, dispone, ritaglia, attovaglia, spariglia: “Dire dei no al Colle non è lesa maestà”, le lancette dell’orologio segnano le 14 e 55, l’accerchiamento del Colle è in corso. S’ode a destra uno squillo di tromba e… tranquilli, è Gasparri: “E’ tempo di soluzioni, decisioni e intese nel Pdl, perché non saranno le batterie di comunicati in serie a dare la soluzione”. Posata sul tavolino la Settimana Enigmistica del Pdl, lunedì (14 ottobre) si passa al Monopoli della Legge di stabilità. Napolitano riceve Letta e Saccomanni, comincia la rumba dei conti con il sottofondo di un macabro girotondo intorno alla bara di Erich Priebke, e le Poste pagano il biglietto di sola andata con Alitalia.

    Dopo aver appreso che la Prezidentova Laura Boldrini vede “voglia di rinascita” tra i naufraghi di Lampedusa, si va a nanna certi che tutto va, come va non si sa, ma va. Il giorno dopo Napolitano avverte la ciurma: “Il mio mandato è legato alle riforme e finché lo reggo”. Martedì (15 ottobre) il Pd in giunta al Senato cerca di uccellare Berlusconi con un voto palese in Aula, mentre il Cdm approva la copertina della manovra in fieri. Alle 23 e rotti c’è il timbro e sul testo ci si rivede il giorno dopo. E’ un mercoledì (16 ottobre) da coscienza di Zeno, qualcuno va al funerale sbagliato, o forse no. Sandro Bondi mette la lapide a destra: “Di questa stabilità l’Italia può morire”, mentre Guglielmo Epifani piazza i fiori: “Va migliorata in Parlamento”. All’ora di pranzo Berlusconi apparecchia per Mario Mauro, ministro della Difesa, parlamentare di Scelta civica. Entriamo in zona Shakespeare. Gelosia. Potere. Intrigo. Lesa maestà. Intanto Mario Monti spicca un comunicato: “Scelta civica non condivide la Legge di stabilità”. Zac. Alfano la difende, il Pdl si spacca come un atomo sottoposto a bombardamento, su Mauro incombe l’accusa di intelligenza con il nemico. Capezzone fa il Bernacca: “La delusione del Pdl sulla Cegge di stabilità si aggrava di ora in ora”. Clessidra pronta, ma un granello s’inceppa, è Mauro che risponde a Monti: “In un governo di grande coalizione bisogna mantenere una linea retta di sostegno”. Annamaria Cancellieri dice – le capita spesso – una cosa saggia: “Napolitano testimone? E’ una cosa inusuale”. Il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico ne dice una tra il macabro e il surreale: “La bara di Priebke in mano ai servizi segreti? Non lo so”. Scendono le ombre della sera tra la Bocconi e la Difesa scoppia la guerra civica. Alle 19 e 47 l’Agi informa: “Mario Monti si è dimesso da Scelta civica”. In Transatlantico corre una voce: “Anche Fassina s’è rotto, pensa alle dimissioni”. Come sempre in questi casi, Letta è in America. Ha visto Obama. E’ venerdì 18, a Wall Street Google sfonda il muro dei mille dollari per azione, mentre in Italia Massimo D’Alema dice che “Cuperlo e Renzi sono complementari”. Una voce si leva dal caos: “Sì al coraggio, no all’incoscienza”. E’ quella del Convocato, Napolitano. Chiudo il taccuino, parte Giorgio Gaber: “Mi scusi, presidente…”.