Puoi fidarti di Fidan?
Il doppio gioco delle spie turche che fa arrabbiare la Casa Bianca
Hakan Fidan è il direttore dei servizi segreti della Turchia, il Milli istihbarat teskilati (Mit), è un consigliere ascoltato del primo ministro Recep Tayyip Erdogan e da dieci giorni è al centro dello scrutinio internazionale per colpa di due articoli pubblicati da giornali americani. Il primo è un ritratto lungo apparso il 10 ottobre sul Wall Street Journal e accusa Fidan di aiutare i gruppi di al Qaida che in Siria fanno la guerra contro il presidente Bashar el Assad.
Hakan Fidan è il direttore dei servizi segreti della Turchia, il Milli istihbarat teskilati (Mit), è un consigliere ascoltato del primo ministro Recep Tayyip Erdogan e da dieci giorni è al centro dello scrutinio internazionale per colpa di due articoli pubblicati da giornali americani. Il primo è un ritratto lungo apparso il 10 ottobre sul Wall Street Journal e accusa Fidan di aiutare i gruppi di al Qaida che in Siria fanno la guerra contro il presidente Bashar el Assad. I servizi segreti turchi fanno passare armi e jihadisti attraverso i 900 chilometri di confine turco-siriano e così vanno contro gli interessi dell’Amministrazione americana – che ora al terzo anno di violenze in Siria teme più il rafforzamento di al Qaida che la permanenza al potere del presidente Assad. Il secondo è un pezzo di David Ignatius pubblicato il 16 ottobre sul Washington Post e accusa Fidan di avere rivelato ai servizi segreti di Teheran l’identità di dieci spie iraniane che lavoravano per l’intelligence israeliana e che si incontravano con i loro ufficiali di collegamento in territorio neutro, dentro la Turchia. Gli iraniani assoldati dal Mossad sono stati arrestati e giustiziati nei primi mesi del 2012 dal loro governo e questo spiega perché il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è stato a lungo così contrario all’idea di chiedere scusa alla Turchia per l’assalto armato alla nave Mavi Marmara nel 2010 (Erdogan ottenne le scuse ufficiali di Netanyahu come condizione per il ritorno alla normalità delle relazioni tra Turchia e Israele, arrivarono su insistenza del presidente americano Obama). L’acquisto dai cinesi, anziché dagli americani, di un sistema di difesa missilistico da 2 miliardi di dollari non stempera il clima.
La stampa turca, che non perde occasione per virare al complottismo e che cita anche fonti nei servizi, descrive i due articoli americani come uno sforzo concertato e deliberato contro Fidan, colpevole di agire secondo una linea troppo indipendente da quelle americana e israeliana (al contrario di come succedeva prima di Erdogan, quando erano i generali a dare la linea all’intelligence turca). Del timore che i turchi stessero passando informazioni a Teheran si era già parlato nel 2010, anno di nomina di Fidan, e il fatto che adesso il tema sia stato ripescato e ampliato è considerato un’operazione di “guerra psicologica”, come scrive su Twitter senza giri di parole un consigliere di Erdogan. Secondo il quotidiano turco Taraf, il doppio gioco del Mit ha bloccato la vendita alla Turchia di droni armati Predator americani nel giugno 2012. Il giornalista israeliano Ben Caspit sostiene sul sito al Monitor che ora le relazioni tra Gerusalemme e Ankara “sono cadute ancora più in basso”. Un giornalista del settimanale ebraico americano Jewish Press ha scritto che il direttore del Mit meriterebbe di essere assassinato.
Fidan ha 45 anni, modi sommessi e per legge risponde soltanto al premier Erdogan. La sua scelta di lasciare passare tutto e tutti senza difficoltà attraverso il confine con la Siria ha complicato fin qui ogni tentativo americano di trovare e aiutare una parte presentabile della ribellione contro Assad. Ora i ribelli siriani non-fanatici contano meno dei gruppi islamisti e di al Qaida – che ricevono aiuti generosi dall’estero e volontari da tutto il mondo, Europa compresa. La situazione sul terreno è così compromessa che qualsiasi sostegno militare ai ribelli da parte di Washington e dell’Unione europea è stato sospeso (e questo va ancora più a favore dei gruppi del jihad).
Come può immaginare chiunque sia passato davanti alle telecamere al banco del controllo passaporti negli aeroporti turchi, il Mit ha visto passare ogni singolo jihadista straniero da lì transitato verso la Siria. A marzo sulla stampa turca è comparsa la notizia della collaborazione tra forze speciali turche e la Jabhat al Nusra, un gruppo messo dagli americani sulla lista del terrorismo internazionale. I militari turchi hanno chiesto l’aiuto della Jabhat per catturare cinque sospettati di aver fatto esplodere un’autobomba in Turchia che si erano nascosti in Siria. L’altro grande gruppo di al Qaida in Siria (oltre alla Jabhat appena nominata) si chiama “Stato islamico” ed è impegnato in una violenta campagna di guerra contro i curdi – e questo non dispiace al governo di Ankara, nemico storico della guerriglia curda.
Un ravvedimento a colpi di artiglieria
Per dissipare quest’aura di complicità, giovedì scorso l’artiglieria turca ha sparato qualche colpo contro le posizioni di al Qaida appena oltre il confine – cosa che molti, per esempio sul New York Times, hanno subito letto come un segnale rivolto alla comunità internazionale: “Non siamo gli amici locali di al Qaida” (in Siria i messaggi sono recapitati così, via cannonate).
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