Al via l'Unione bancaria

Chi è lo sceriffo americano chiamato in aiuto da Draghi

Ugo Bertone

L’operazione trasparenza è iniziata. Da novembre, come ha annunciato ieri lo stesso Mario Draghi, partirà l’esame degli attivi delle banche europee: 130 istituti del Vecchio continente, tra cui 15 italiani, passeranno al vaglio degli ispettori coordinati dalla Banca centrale europea. Il primo passo dell’Unione bancaria. Anche per questo sarà un esame severo, assicurano a Francoforte: non è certo interesse della squadra di Draghi prendere in carica problemi che vengono dal passato.

    L’operazione trasparenza è iniziata. Da novembre, come ha annunciato ieri lo stesso Mario Draghi, partirà l’esame degli attivi delle banche europee: 130 istituti del Vecchio continente, tra cui 15 italiani, passeranno al vaglio degli ispettori coordinati dalla Banca centrale europea. Il primo passo dell’Unione bancaria. Anche per questo sarà un esame severo, assicurano a Francoforte: non è certo interesse della squadra di Draghi prendere in carica problemi che vengono dal passato. Un’operazione di controllo così impegnativa che, per dare una mano agli sceriffi dell’area euro, la Bce ha assoldato un consulente che arriva dagli Stati Uniti: la Oliver Wyman, premiata ditta che ha già lavorato tra l’altro al servizio di Slovenia e Spagna. Ma che in passato ha preso le sue belle cantonate. La più clamorosa nel 2006, in pieno boom economico-finanziario, quando davanti alla platea di Davos, promosse la Anglo Irish Bank di Dublino quale “migliore banca del mondo”. Peccato che tre anni dopo l’Irlanda precipitò in crisi per evitare che il crac dell’istituto facesse affondare il paese. “Sì, non è stata una buona idea – ammettono oggi alla Wyman, più di 3 mila esperti presenti un po’ in tutta Europa oltre che negli Stati Uniti – ma era una classifica basata sulla redditività per i soci”. Insomma sul Roe (return on equity), il parametro di moda negli anni ruggenti quando, pur di aumentare i profitti, consulenti e analisti suggerivano ai banchieri di aumentare la scommessa sui derivati. Come, disgraziatamente, Oliver Wyman fece con Ubs e la stessa Citigroup, entrambe salvate dai rispettivi governi. E’ il caso di affidarsi a esperti con questo pedigree? La società americana è stata scelta dopo regolare concorso. Non solo. In questi anni Oliver Wyman ha lavorato in tutte le situazioni di crisi, dal Portogallo all’Irlanda fino alla Grecia e alla Spagna, che ha affiancato nelle trattative con l’Unione europea al momento della crisi bancaria. Eppure la decisione di Francoforte ha suscitato non poche perplessità. Quando mai si è vista una Banca centrale affidare la missione più delicata a un ispettore privato, che per giunta viene da fuori? Ve l’immaginate la Federal Reserve che affida a un consulente di Londra o Parigi i libri contabili di Goldman Sachs? I consulenti, è la replica di Francoforte, si occuperanno soltanto di organizzazione e metodo. Ma non entreranno per nessun motivo nelle stanze dei bottoni. Sarà, ma un terzo delle forze di Oliver Wyman sarà distribuito nelle sedi nazionali come è già avvenuto in occasione della consulenza a Madrid, con cinquanta esperti nella sola Banca centrale.

    La Bce e le questioni di staff
    Tuttavia, per capire la scelta della Bce bastano pochi numeri. Nel 2009, dopo il crac di Lehman Brothers, fu necessario mobilitare l’intera Federal Reserve per fare il punto sullo stato di salute di 19 banche statunitensi, assai meno dei 130 istituti da esaminare in Europa. I numeri, poi, raccontano solo una parte della realtà. La Fed è una struttura consolidata, che vanta alle spalle un secolo di attività, chiamata a vigilare su banche che obbediscono a una sola legge. La Bce, invece, deve mettere ordine tra regole non omogenee, con differenze tra loro spesso rilevanti. E con sistemi di Vigilanza diversi tra loro, non ultimo per il diverso grado di indipendenza dall’autorità politica. Senza trascurare le scontate rivalità, in parte inevitabili visto che l’esercito degli ispettori di Draghi nasce soltanto adesso: 800 uomini, in arrivo per una buona metà dalle Banche centrali d’Europa. Ma fino a che punto un dirigente tedesco si spoglierà dei panni della Bundesbank per analizzare senza pregiudizi i conti di una banca italiana? O viceversa? Per questo non fa male disporre di un filtro, quale l’americana Wyman, insensibile (si spera) ai richiami nazionali. E poi c’è l’eredità dei test dell’Eba, l’organismo comunitario europeo che stavolta opererà sotto la supervisione della Bce, da cui risultarono sane banche finite sull’orlo del baratro poche settimane dopo il verdetto. “Dopo questi precedenti – ha detto di recente Paul De Grauwe della London School of Economics – la Bce non può più concedersi alcun errore”. Per questo conviene affidarsi a uno sceriffo che arriva dal West. Purché stavolta non sbagli la mira.