La favola dei giapponesi refrattari al sesso

Giulia Pompili

Uno degli aspetti più affascinanti della cultura giapponese è senza dubbio la lingua. Non serve scomodare il filosofo Gadamer per capire che se in giapponese esistono parole per definire fenomeni complessi – fenomeni che noi potremmo spiegare solo nello spazio di un articolo – un motivo ci sarà. E così è troppo facile tradurre otaku con l’anglosassone geek, definendo una persona più interessata ai computer che alle relazioni umane. Ed è troppo facile tradurre hikikomori con reclusione, oppure sekkusu shinai shoukougun come “sindrome da castità”.

    Uno degli aspetti più affascinanti della cultura giapponese è senza dubbio la lingua. Non serve scomodare il filosofo Gadamer per capire che se in giapponese esistono parole per definire fenomeni complessi – fenomeni che noi potremmo spiegare solo nello spazio di un articolo – un motivo ci sarà. E così è troppo facile tradurre otaku con l’anglosassone geek, definendo una persona più interessata ai computer che alle relazioni umane. Ed è troppo facile tradurre hikikomori con reclusione, oppure sekkusu shinai shoukougun come “sindrome da castità”. Così si rischia di dire che la colpa dello sviluppo tecnologico del Giappone ha provocato uno svilimento dei rapporti sociali, da cui proviene l’asessualità e la bassa natalità, fino alle derive catastrofiche dell’estinzione perché “in fondo il Giappone sta mostrando quello che sarà il futuro di noi tutti”.

    Quest’ultima citazione viene da un lungo articolo pubblicato dall’Observer qualche giorno fa, a firma di Abigail Haworth, dal titolo “Perché i giovani in Giappone hanno smesso di fare sesso?”. Nel pezzo, condiviso settantaseimila volte su internet, si citano gli scoraggianti dati demografici giapponesi: secondo un report del ministero dell’Interno, la popolazione nipponica nel 2013 è scesa a 127,515 milioni (-0,22 per cento), mentre le persone oltre i 65 anni hanno superato per la prima volta i 30 milioni. Secondo i calcoli degli esperti, senza adeguate politiche per la natalità, entro il 2060 la popolazione del Sol levante si ridurrà di un terzo. La Haworth racconta poi la storia di Ai Aoyama, che quindici anni fa era la Regina dell’Amore, una “dominatrice” famosa nel mondo del porno giapponese. A cinquantadue anni si è riciclata come terapista del sesso. Nella sua clinica, racconta alla giornalista, vanno a trovarla vari tipi di “ammalati da castità”: per esempio i trentenni che si eccitano solo di fronte alle immagini di Sailor Moon, i famigerati “uomini erbivori” (soshoku danshi), ovvero persone prive di qualsiasi interesse nei confronti delle relazioni sessuali. Ci sono le donne che rifiutano il rapporto di coppia perché non accettano il sistema tradizionale giapponese, uomo in carriera e donna casalinga. Secondo l’Observer, “il fenomeno” avrebbe “raggiunto livelli record”, tanto che almeno un terzo dei giapponesi sotto i trent’anni avrebbe risposto a un’eventuale proposta di fidanzamento con la parola “mendokusai”, tradotto dalla Haworth come l’espressione linguistica della “fobia da relazioni”. Peccato che, in giapponese, mendokusai si dice quando si vuol intendere semplicemente “che palle”.

    L’Observer cade anche in un altro errore grossolano. Il protagonista della serie tv “Otomen”, molto famosa in Giappone, viene definito come un “uomo erbivoro” e quindi privo di ogni interesse per il sesso. In realtà Asuka Masamune è il fico della scuola, sportivo e maschio, costretto a nascondere il suo lato sensibile e l’amore per la bella Ryo solo per non andare contro gli stereotipi di mascolinità. L’articolo dell’Observer è stato ripreso in rete da molti commentatori. Katy Waldman, autrice del blog su Slate “The XX Factor. What Women Really Think”, dopo aver riportato i dati, si chiede se la società giapponese non stia semplicemente sperimentando uno stile di vita diverso, e se sia giusto chiamare l’essere single un “disturbo”. Brian Ashcraft, direttore del blog Kotaku ed editorialista del Japan Times, in un post sul suo blog smonta la teoria catastrofista, osservando gli studi originali citati dall’Observer: “Quello che un terzo della popolazione sotto i trent’anni non fa, una volta è tradotto come ‘un appuntamento’, un’altra volta come ‘rapporti sessuali’, un’altra volta ancora con ‘rapporti occasionali’”.

    Nel sondaggio originale, scrive Ashcraft, il novanta per cento delle donne non sposate non preferisce la condizione di solitudine, e vorrebbe sposarsi, ma questo particolare viene omesso. E conclude: “Il Giappone non è l’unico paese che lotta contro la bassa natalità. Ci sono anche paesi europei come l’Italia, la Spagna e la Germania. Dobbiamo aspettarci delle bizzarre considerazioni anche sulla loro vita sessuale?”.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.