Il momento di grazia della Roma e quello da dimenticare di Balotelli

Sandro Bocchio

L'interpretazione dei segni non è scienza esatta ma è materia assolutamente da rispettare. Ancor più nel calcio, scienza altrettanto inesatta (non sempre vince chi è più forte) e quindi assolutamente bisognosa di aggrapparsi a riferimenti sganciati da dati misurabili. Come nel caso della Roma, la cui consistenza si misura con nove vittorie consecutive nelle prime nove partite, primato condiviso con la Juventus 2005-06 di Capello, annata quantomeno sospetta...

    L'interpretazione dei segni non è scienza esatta ma è materia assolutamente da rispettare. Ancor più nel calcio, scienza altrettanto inesatta (non sempre vince chi è più forte) e quindi assolutamente bisognosa di aggrapparsi a riferimenti sganciati da dati misurabili. Come nel caso della Roma, la cui consistenza si misura con nove vittorie consecutive nelle prime nove partite, primato condiviso con la Juventus 2005-06 di Capello, annata quantomeno sospetta... Un primato totalmente inatteso, proprio perché costruito nonostante premesse che indicassero altri destini: un mercato estivo al ribasso, una proprietà poco presente, un tecnico da scoprire (Garcia), bandiere sventolate a lungo (Totti) oppure ammainate (De Rossi). Tutto congiurava a un anno di transizione, tutto è servito a rendere scintillante l'avvio. E con quei segni a fare da contrappunto, dall'errore avversario sotto porta alla decisione bonaria dell'arbitro, fino all'italico stellone. Di cui occorre però saper essere complici, cercandolo con audacia, fino all'incoscienza. Come si è visto ieri, perché Garcia è tecnico che ama sì le cose semplici, ma vuole che siano applicate con coraggio. Così quando si è ritrovato con l'uomo in meno per la cacciata di Maicon, ha effettuato la classica mossa da manuale del calcio: fuori una punta (Borriello) e dentro un centrocampista (Bradley). Ma senza mutare atteggiamento, perché in quel momento la sua squadra spingeva e così ha voluto che continuasse a fare. Fino a quando proprio lo statunitense ha trovato la rete vincente, decimo marcatore differente della Roma. Il tutto appena quattro minuti dopo il suo ingresso a sottolineare, se fosse stato ancora necessario, lo stato di grazia che sta vivendo chiunque vesta giallorosso e la mano felice del tecnico in ogni situazione. I segni, per l'appunto, perché l'annata di Michael Bradley non è stata un granché, finora. Come quella di papà Bob, ct dell'Egitto appena travolto 6-1 dal Ghana e praticamente fuori del Mondiale. L'infortunio a inizio settembre in Nazionale non aveva fatto altro che favorire i piani di Garcia, che non lo riteneva essenziale nel centrocampo disegnato intorno alla triade Strootman-De Rossi-Pjanic. E così Bradley junior si è trovato ai margini, dopo aver vissuto la passata stagione come uno dei punti fermi delle scelte contestabili di Zeman. Un accantonamento vissuto con determinazione stelle&strisce: nessun italico piagnisteo ma il lavoro quotidiano sul campo. Quello che fa felice i luoghi comuni del calcio ("Per mettere in difficoltà l'allenatore", si usa dire e scrivere) ma ciò che alla fine – come si è visto a Udine – realmente paga.

    E paga più di altri luoghi comuni che infarciscono il pallone. Come quelli che vorrebbero far seguire a gesti ritenuti mediaticamente importanti la svolta di un'esistenza, privata e pubblica. Gli ultimi giorni sono stati un inno a Mario Balotelli, come se tagliarsi la cresta e vendere la Ferrari l'avessero trasformato in pochi attimi da bad boy del calcio italiano a figlio ideale di tutte le mamme. Il suo cranio lucido vagava senza costrutto nell'ennesimo pomeriggio da cani del Milan a Parma, oggetto di facile ironia specie se dall'altra parte si muoveva con agilità uno che si chiama Sansone. Ma non è questione di capelli quanto, piuttosto, di testa. E quella di Balotelli pare tornata ai giorni meno felici con il Manchester City, quando persino Mancini – considerato il padre putativo dell'attaccante – aveva finito per averne le tasche piene. Il problema è che però stavolta non ci sono mattane da indicare con il dito, perché l'atteggiamento di Balotelli ha avuto rari scivoloni dal giorno del rientro in Italia, tranne un uso bulimico e infelice dei social network. Una fiamma comportamentale che si è spenta fuori dal campo, ma anche sul campo. Perché il centravanti si ritrova a non saper più fare la differenza, a non essere più decisivo anche quando ci fosse solo da calciare un rigore (chiedere a Reina). Uno dei tanti, per farla breve, fino al punto di essere riposto domenica in panchina da un disperato Allegri. E il fatto che il Milan si sia risvegliato in sua assenza, pur senza evitare la sconfitta, deve essere un altro segnale da interpretare. Da parte di Balotelli e da parte del suo loquace agente Mino Raiola, che non a caso ha già cominciato a disegnare – come antica consuetudine – possibili scenari che non avranno come sfondo l'attuale squadra.