D'Alema e quel brivido nel ritornare sulla scena come l'araba fenice

Stefano Di Michele

C’è sempre una prima volta. Nel senso più ovvio, ma quella è roba da età liceale, andata e dimenticata. E nel senso più crudele, quello politico: perdere un congresso, “me che fino a ieri / credevo fossi un re”. E’ quello che si prepara a fare Massimo D’Alema, ché adesso l’onda renziana dilaga dall’Alpi a Gallipoli, teste di antichi sodali che da sole ormai vanno a depositarsi sul sagrato della Leopolda, prima che la lama fiorentina cali. Veltroni. Fassino. Pure Epifani, in fondo. Ruggisce inoffensivo, ormai, Bersani. Pure Rondolino s’intriga giornalisticamente. D’Alema no, D’Alema non può, D’Alema non vuole.

    C’è sempre una prima volta. Nel senso più ovvio, ma quella è roba da età liceale, andata e dimenticata. E nel senso più crudele, quello politico: perdere un congresso, “me che fino a ieri / credevo fossi un re”. E’ quello che si prepara a fare Massimo D’Alema, ché adesso l’onda renziana dilaga dall’Alpi a Gallipoli, teste di antichi sodali che da sole ormai vanno a depositarsi sul sagrato della Leopolda, prima che la lama fiorentina cali. Veltroni. Fassino. Pure Epifani, in fondo. Ruggisce inoffensivo, ormai, Bersani. Pure Rondolino s’intriga giornalisticamente. D’Alema no, D’Alema non può, D’Alema non vuole. “Io non ho mai perso un congresso”, aveva finora ripetuto, e il “Firmato D’Alema” sulla conclusione di ogni assise del partito era tale e quale il “Firmato Diaz” a sigla del bollettino della vittoria del ’15-’18. E così, dopo un’intera esistenza politica, un trentennio a studiare strategie e alleanze su come vincere bene, adesso bisogna virare di 180 gradi, e pensare a strategie e alleanze su come bene perdere. Perché se i vincitori saranno molti, anzi moltissimi, saranno pure una folla, un ammasso, un carnaio – tutti e dunque nessuno, solo il botticelliano Fonzie alfa e omega del lussureggiante corteo.

    Piuttosto che la retroguardia della vittoria, meglio l’avamposto della sconfitta. Si è rottamato, D’Alema, per evitare di finire del tutto smontato e senza ruote presso la rinomata “autodemolizione Renzi” – di lavoro oberata, ma di grosse cilindrate ancora ingorda. E così, la battaglia paese per paese, nella sua Puglia per il suo Cuperlo, l’orgoglio di partito innalzato quanto e ancora di più alla Leopolda viene abbassato, rasato a zero, coperto di sale – così che la sua rottamazione a loro disdoro assegna, rottamazione a ingiusta causa per “essere un leader della sinistra”. Deve perdere bene, D’Alema, così per provare di nuovo il brivido che fu giovanile e che fu pure di mezza età, di ritornare sulla scena come l’araba fenice. Ma con una certezza – che fino a qualche mese fa era ancora solo dubbio: è possibile solo fuori dai confini nazionali, fuori dall’ingrato partito che al dottor Guillotin di Palazzo Vecchio, politicamente parlando, ha offerto il nudo collo e il tremebondo avvenire. Deve vincere bene l’ultima sua battaglia per la buona sconfitta, D’Alema, per preservare se stesso da giardinetti tediosi e meste comparsate in noiosi dibattiti. E in casa deve combatterla, per poter fuori casa trionfare. Dicono dentro il Pd che ha un primo obiettivo. E poi un secondo obiettivo. Così da saltare il reticolato renziano, così da farsi allo stesso sindaco fiorentino, pronto agli allori e alle pene della guida del partito, irraggiungibile. 

    Intanto, D’Alema ha chiaro che il Quirinale è un obiettivo ormai fuori portata (ieri, tanto per procurargli altri bruciori di stomaco, giravano persino i nomi di Epifani e Fassino). L’ex suo partito non avrà né pena né considerazione per lui, quando sarà il momento, quando Napolitano vorrà decidere che il peso del suo secondo mandato sta diventando insopportabile. Un patto Renzi-Letta, si dice, è pronto a sbarrargli il passo. Perciò D’Alema ha lo sguardo fisso, raccontano, sulle elezioni europee del prossimo anno. A questo – oltre che alla battaglia congressuale – si attrezza. Capolista e, come una decina di anni fa, gran massa di preferenze: ottocentomila furono (“ottocentotrentottomila”, precisava lui), da metterlo al riparo dall’ombra politica di chiunque altro diretto verso Strasburgo. E qui, c’è il problema di Michele Emiliano, il sindaco di Bari schierato con Renzi, che potrebbe essere tentato dal posto di capolista caro al progetto di D’Alema. Lo scontro congressuale in Puglia di queste settimane ha lo sguardo lungo di qualche mese, fino alla prossima primavera. Il secondo obiettivo potrebbe essere il posto di presidente del Parlamento europeo, adesso occupato dal socialista Martin Schulz. “Con una grande affermazione, e il ruolo di capolista, Massimo avrebbe buone possibilità”. Per questo, il terreno dove D’Alema si muove varia come più non si potrebbe, dal Salento a Pechino: leader dell’opposizione congressuale e prossimo leader al Parlamento europeo. E a Renzi, con “un successo mediatico garantito”, ammette amaro, un saluto-sberleffo messo a paragone con la vecchia pubblicità di Virna Lisi, “con quella bocca può dire ciò che vuole” – un po’ come dire: da quella bocca può uscire di tutto. Arcaica metafora. Quasi come la bici di Bartali da Renzi piazzata sul palco. Spruzzata di veltronismo che ancora di più lo fa sentire meglio in Cina e a Strasburgo.